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Il soprannome, «Andiamo a vincere», gli show in tv: Giampiero Galeazzi raccontato ai ventenni

Piccola storia di un atleta diventato per caso giornalista e per scelta personaggio di spettacolo. Dall'epica alla commedia, la sua figura rimarrà scolpita nell'immaginario collettivo del Belpaese

Il soprannome glielo diede il futuro collega Gilberto Evangelisti. E in una delle sue ultime interviste un paio d’anni fa Giampiero Galeazzi – scomparso oggi all’età di 75 anni – raccontò come andò quella volta: «Era il 1970, un giorno dovevo andare a giocare un doppio di tennis con Renato Venturini, che lavorava alla radio. Andai a prenderlo nella sede di via del Babuino e mi presentò ai colleghi dello sport. Ero alto e massiccio, così Gilberto Evangelisti se ne uscì con la frase: Renà, ma chi è ‘sto Bisteccone?». E fu così che per tutti Galeazzi diventò “Bisteccone“, ma soprattutto grazie a quell’incontro intraprese la carriera di giornalista. Perché Venturini fece sapere a tutti che quel signore così corpulento aveva vinto il campionato singolo di canottaggio nel 1967 e il doppio con Giuliano Spingardi l’anno dopo. E allora quelli della radio (Rai, ovviamente) cominciarono a chiedergli di portare in redazione i risultati: «Lavoravo dalle 8 del mattino alle 8 di sera, portavo il cappuccino a Ciotti, leggevo i risultati della C la domenica. Insomma, feci la gavetta, al fianco di maestri come Guglielmo Moretti, il mio santo protettore, Enrico Ameri, lo stesso Ciotti, Rino Icardi, Claudio Ferretti».

«Andiamo a vincere»

Ma di Galeazzi nell’immaginario collettivo non potranno che restare le mitiche telecronache del canottaggio. «Ultimi 250 metri! Andiamo a vincere!», era l’urlo strozzato che tutti imitavano per ricordare la medaglia d’oro di Carmine e Giuseppe Abbagnale a Seul nel 1988. Ma lui ne ricordava più volentieri un’altra: «Quella dell’oro di Bonomi e Rossi nel K2 1000 metri all’Olimpiade di Sydney: “Si guarda a sinistra, si guarda a destra, vince l’Italia!”». Così come tra i suoi ricordi di cronista sportivo non poteva non esserci lo scudetto della Lazio nel 2000. Galeazzi si trovava allo Stadio dei Marmi per seguire la finale degli Internazionali di tennis e intanto stava con l’orecchio attaccato alla radiolina per seguire gli aggiornamenti da Perugia e dall’Olimpico. Dopo il goal del Perugia il colpo di testa: «Non ce la feci più. Abbandonai la telecronaca e mi precipitai all’Olimpico. Presi la troupe del tennis. A uno dissi, damme er microfono, mi buttai per strada e iniziammo a fare interviste. Ho rischiato il licenziamento, ma ero troppo esaltato. Ricordo che i miei colleghi erano tutti a Perugia e io sul pullman a montare il servizio fatto».

Galeazzi aveva quella virtù rarissima che benedice la carriera dei predestinati: sapeva sempre trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Come quando si trovava in Islanda per la partita tra Juventus e Valur proprio nel giorno in cui i due protagonisti della Guerra Fredda decisero di incontrarsi a Reykjavik. E così divenne l’inviato del Tg1 per raccontare lo storico incontro tra Michail Gorbacev e Ronald Reagan. D’altro canto lo ha detto lui stesso nel suo libro autobiografico: «L’inviato non nasce per caso». Lui era lì, sempre sul pezzo. Ed era unico nel mettere a suo agio gli intervistati, riuscendo così sempre a fargli dire qualcosa che valeva la pena ascoltare. Il duetto tra Rummenigge e Maradona dopo Inter-Napoli del 10 novembre 1995 ne è un esempio perfetto.

Da giornalista a personaggio

L’altra svolta della sua carriera arriva tra gli anni Novanta e i Duemila. È in quell’epoca che il personaggio Galeazzi diventa una vera star della tv partecipando alla conduzione di Domenica In targata Mara Venier. E facendo di tutto: balletti, sketch, gaffe e persino, insieme a Giucas Casella, un duetto con Mario Merola ne Lo Zappatore. Che fosse diventato un personaggio amatissimo lo certificano anche le imitazioni, tra cui quella, spassosissima, di Nicola Savino a Zelig.

D’altro canto lo ha ripetuto in tutte le sue interviste: «I duetti con Mara erano naturali. Niente testo. Guai a damme un testo a me, io non so’ attore. Facevo er 40 de share con la scena del letto». «Me presentavo con la valigia, ballavo e me dimenavo. Partiva la sigla de Novantesimo e stavo già da Mara che m’aspettava sul letto, tipo Fregoli. “Che m’hai portato oggi?”. “Ecco qua bella bisteccona mia” e dalla valigia uscivano salami e reggipetti. Un successo clamoroso. Acchiappavo tutti, ero una bomba a mano. All’italiano je tocchi er letto…». Ma la celebrità lo aveva toccato anche prima. Grazie ai collage delle sue gaffe montati dalla Gialappa’s Band.

È così che colui che aveva raccontato le imprese eroiche degli sport meno conosciuti d’Italia diventò l’uomo più nazional-popolare della tv italiana. Dall’epica alla commedia la sua figura rimarrà scolpita nell’immaginario collettivo del Belpaese. Come quell’urlo – «Andiamo a vincere» – che è entrato nella storia dello sport italiano.

In copertina: elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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