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Con Omicron l’immunità di gregge? Il virologo Silvestri avverte: perché lo studio sugli «effetti lievi» non dice tutto

03 Gennaio 2022 - 16:53 Giada Giorgi
L'immunologo, docente universitario in Usa e fondatore della pagina social di divulgazione scientifica "Pillole di ottimismo", commenta uno degli ultimi studi preliminari sulla nuova variante: «Malattia polmonare attenuata»

Gli studi preliminari sulla pericolosità della variante Omicron continuano a registrare sintomi più lievi di quelli finora conosciuti. A evidenziare l’importanza di una delle ultime ricerche sull’argomento è il patologo e immunologo professor Guido Silvestri. Docente negli Usa alla Emory University di Atlanta e fondatore della pagina social “Pillole di ottimismo”, proprio sul web ha condiviso i risultati dello studio pubblicato in pre-print su Research Square dal titolo Il virus SARS-CoV-2 B.1.1.529 Omicron causa infezioni e malattie attenuate nei topi e nei criceti. «Gli esperimenti di più laboratori indipendenti della rete SAVE/NIAID con diversi isolati B.1.1.529 dimostrano una malattia polmonare attenuata nei roditori, che è parallela ai dati clinici umani preliminari», spiega la ricerca citata da Silvestri, che sui social sottolinea l’importanza delle recenti scoperte. «Lo scenario che emerge, in modo ogni giorno più evidente, è che la variante di Covid-19 Omicron causa una infezione clinicamente più lieve in quanto il virus è meno in grado di colpire il polmone dell’ospite (criceto e topo negli studi sperimentali; homo sapiens negli studi clinici)», scrive l’esperto, fornendo un ulteriore dettaglio su quanto sta emergendo negli studi su Omicron.

«Una cosa importante da aggiungere è che lo sviluppo e la eventuale dominanza epidemiologica di una variante virale più trasmissibile ma meno “cattiva” è una forma classica di adattamento tra virus ed ospite che i virologi veri avevano previsto da tempo (e per questo erano stati sbeffeggiati dai virologi da ombrellone, ma Dio li perdona perché non sanno quello che scrivono)», continua Silvestri. Open giorni fa aveva riportato l’insieme di ricerche, condivise anche dal New York Times, su animali da laboratorio e tessuti umani: «Più di una mezza dozzina di ricerche resi pubblici negli ultimi giorni hanno portato tutti alla stessa conclusione. Omicron è più mite di Delta e di altre versioni precedenti del virus», avevano scritto gli autori dell’articolo Carl Zimmer e Azeen Ghorayshi.

La domanda ancora senza risposta

Ora lo scienziato italiano fa luce su una di quelle ricerche. Ne ribadisce l’importanza ma allo stesso tempo mette in guardia su una delle ipotesi, circolata nelle ultime ore, riguardo le conseguenze di una così forte capacità di contagio da parte della nuova variante. «Attenzione», scrive Silvestri, «questo studio NON risponde in modo definitivo alla domanda da cento milioni, cioè se a livello di popolazione la ridotta severità di COVID sarà sufficiente a compensare l’effetto negativo della sua maggiore trasmissibilità». Il riferimento è anche a quanto sostenuto dal ministero della Sanità israeliano Nachman Ash che, in attesa di una nuova ondata di contagi causati da Omicron, parla di immunità di gregge finalmente possibile. «Il costo sarà di molte infezioni. I numeri dovranno essere molto alti per raggiungere l’immunità di gregge, e questo è possibile», ha spiegato, «certo non vogliamo raggiungerla attraverso le infezioni ma vogliamo che accada a seguito della vaccinazione di molte persone».

Le autorità del Paese stanno iniziando a convincersi che con la nuova ondata e l’avvio della campagna per gli over-60 della quarta dose vaccinale, lo Stato potrebbe essere a una svolta. Ipotesi da non sottovalutare considerato il ruolo di laboratorio a cielo aperto che Israele sta avendo da inizio campagna vaccinale. Oltre alle previsioni dei governi è necessario rimanere saldi ai dati, che seppur pochi finora, cominciano a fornire un quadro preliminare di questa nuova fase epidemiologica. Gli specialisti definiscono l’effetto gregge una protezione che si può avere in modo indiretto grazie a una percentuale di popolazione che si è appunto immunizzata contro un’infezione. Ciò può avvenire in due modi: o una vaccinazione di massa, obiettivo dichiarato dalla maggior parte dei governi, o con un’infezione di massa, a seguito della quale, attraverso guarigione, l’organismo riesca ad acquisire gli anticorpi giusti per combatterla di nuovo.

Alla prudenza raccomandata da Silvestri si affiancano le indicazioni del professore della Temple University di Philadelphia Enrico Bucci: «Più e più volte è capitato, dall’inizio della pandemia, di sentire dichiarazioni, anche da esperti, circa il fatto che una determinata variante rappresentasse “il massimo” che il virus poteva fare», scrive sul suo profilo di divulgazione scientifica. «Omicron, per esempio, ha già cominciato a differenziarsi abbondantemente, grazie alla sua prodigiosa capacità replicativa; dove porteranno i nuovi “rametti” evolutivi, alcuni dei quali hanno avuto origine intorno a dicembre se a produrre varianti migliori o peggiori di quelle attuali non possiamo saperlo». E aggiunge: «Di certo, l’evoluzione del virus continua, ed è illusorio pensare di sapere in anticipo che sia giunta al massimo di quello che il virus può produrre».

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