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Omicron 2, cosa sappiamo della sotto-variante che sta prendendo piede in Danimarca e in Asia

12 Gennaio 2022 - 18:03 Juanne Pili
L'enigma della diffusione della sotto-variante omicron BA.2 che preoccupa gli esperti

Fin dal dicembre scorso si è cominciato a parlare di una sotto-variante Omicron BA.2 che comincia a essere definita sui media Omicron 2, ovvero una versione di Omicron (lignaggio BA.1), similmente a quanto era già successo con le sotto-varianti Delta plus (lignaggi AY.1 e AY.4.2). Parliamo anche in questo caso di due lignaggi (BA.2 e BA.3). Su BA.3 abbiamo pochi casi e non sembra avere un rilievo significativo al momento. I britannici l’hanno battezzata impropriamente stealth variant. BA.2, date le 38 mutazioni condivise con BA.1, era indistinguibile coi test PCR usati per avere un quadro rapido della diffusione di Omicron nel mondo. Secondo il The Times of India nella città di Calcutta l’80% dei casi riguarda proprio questa sotto-variante.

Presente in Sudafrica fin dall’inizio era stata identificata in appena il 2% dei casi totali. Inizialmente non ha avuto un rilievo significativo, ma fin da subito ci siamo accorti del fatto che i casi BA.2 cominciavano a venire esportati; inizialmente in Canada, poi in Danimarca dove si fanno parecchi sequenziamenti, quindi sono saltati all’evidenza anche questi casi, ma proprio in Danimarca a un certo punto BA.2 ha cominciato a prendere il sopravvento. La stessa cosa succede in alcuni Paesi asiatici, come le Filippine – nonostante si facciano pochi sequenziamenti -, l’India e un caso in Cina. L’esperto di genomica comparata Marco Gerdol spiega a Open quante cose ancora non sappiamo riguardo al lignaggio BA.2. Per maggiori chiarimenti trovate qui un suo recente post sul tema.

L’enigma del lignaggio BA.2

Essendo una sotto-variante di Omicron, BA.2 va considerata necessariamente una VOC (variante preoccupante), quindi altrettanto in grado di “bucare” i vaccini; anche se questa definizione è fuorviante, perché abbiamo visto che gli anticorpi indotti dalle vaccinazioni continuano a rendere remota la possibilità di incorrere in forme gravi di Covid-19. Resta la necessità di monitorarne la diffusione e proprio in questo frangente vi sono diversi punti poco chiari.

Qual è la ragione di questa diffusione così strana? Proprio in Sudafrica BA.2 non è rilevante, mentre lo è in un Paese europeo e probabilmente in diverse regioni dell’Asia. «Non abbiamo ancora una risposta certa. Se fosse legato a qualche fattore biologico, come una maggiore trasmissibilità – continua Gerdol -, tutto questo dovremmo vederlo ovunque, specialmente in Sudafrica». Resta ancora un enigma. «BA.1 e BA.2 condividono ovviamente tante mutazioni, ma hanno caratteristiche piuttosto diverse ancora difficili da interpretare: significa una maggiore trasmissibilità intrinseca o capacità di evadere le difese immunitarie? Al momento non lo sappiamo. È curioso costatare come BA.1 e BA.2, già co-presenti fin dai primi casi, avessero già delle peculiarità distinte, significa molto probabilmente che il loro antenato comune deve essersi adattato qualche mese prima».

La ricerca delle origini

Dove si era nascosto l’antenato di Omicron per tutto questo tempo? Quando BA.1 si è distinto da BA.2? «Tutto questo sembra indicare l’esistenza di un serbatoio animale – continua il genetista -, come nel caso delle varianti trovate nei visoni in Danimarca o dei cervi della Virginia negli Stati Uniti. In un recente studio si vede che il pattern di mutazioni suggerisce un’origine nel topo. È ragionevole come ipotesi. Qualche roditore come i ratti potrebbero essere degli ottimi candidati. Potremmo quindi presumere che nel 2020 ci sia stato un passaggio uomo-ratto, il virus nel frattempo si è adattato e a distanza di mesi, dall’ottobre scorso in Sudafrica per qualche ragione ci sarebbe stato un ulteriore passaggio da ratto a uomo di BA.1 e BA.2».

L’articolo citato da Gerdol è lo stesso che abbiamo trattato in un recente articolo del progetto Open Fact-checking, distorto per fare passare l’idea che Omicron fosse stata creata in laboratorio. Sappiamo invece che SARS-CoV-2 e le sue principali varianti non infettano bene i topi, ci vorrebbe un gigantesco impegno per riuscire a fare una cosa del genere in vivo. I ricercatori invece hanno isolato il virus in linee cellulari derivate dai topi. È stato visto così, che la mutazione N501Y (trovata in diverse VOC) interagisce meglio coi recettori ACE2 dei topi e degli umani. 

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