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Perché la variante Delta non buca i vaccini (ma bisogna fare la seconda dose)

Perché la variante Delta non buca i vaccini (ma bisogna fare la seconda dose)
Perché la variante Delta non buca i vaccini (ma bisogna fare la seconda dose)
Sapevamo che l'efficacia dei vaccini è legata alla seconda dose, gli studi sulle varianti Alpha e Delta lo dimostrano

La variante Delta del Sars-Cov-2 sta “bucando” i vaccini? Questo è il dubbio che si pone mentre stiamo affrontando, in Italia e nel Regno Unito, le campagne vaccinali. Che sono gestite in maniera diversa l’una dall’altra. Molti stanno ignorando tutto il “background”, ossia le conoscenze di base che riguardano proprio i vaccini, la loro somministrazione e la loro efficacia. Al contrario, c’è chi si sofferma sui dati britannici relativi ai “decessi da variante Delta” conteggiati da febbraio a giugno 2021, in particolare su quelli vaccinati sia con una che con due dosi. Quanti sarebbero? Siamo al di sotto dello 0,07 per cento dei totali positivi con questa variante. Non vengono considerati, in tutta questa vicenda, i numeri relativi alle ospedalizzazioni e delle terapie intensive nel Regno Unito e che andremo a vedere in questo articolo.

Variante Delta e vaccini: per chi ha fretta

  • I vaccini servono per evitare l’insorgere della malattia o al limite prevenire le forme gravi, riducendo drasticamente le ospedalizzazioni.
  • L’efficacia dei vaccini non è mai stata del 100% e gli studi avevano già dimostrato l’importanza della seconda dose da somministrare per ottenere un’efficacia elevata.
  • La maggioranza dei casi positivi da variante Delta dal 1 febbraio al 14 giugno riguardano non vaccinati.
  • I casi positivi da variante Delta nello stesso periodo riguardano anche persone vaccinate dopo la prima e la seconda dose di vaccino.
  • Bisogna considerare i tempi trascorsi tra le dosi somministrate, fondamentali per tenere conto dell’efficacia.
  • Non si riscontra un aumento delle ospedalizzazioni dovute ai casi positivi della variante Delta.

Analisi

La variante Delta (lignaggio B.1.617.2) è stata classificata tra le varianti Covid di maggiore preoccupazione (VOC), per via della sua associazione con un aumento dei casi e per due mutazioni (T487K e L452R) nel genoma del nuovo Coronavirus, che incrementerebbero potenzialmente il legame dell’antigene coi recettori delle cellule: meglio noto come proteina Spike (S), serve al virione (il singolo virus) a infettare le cellule. Le varianti di maggiore preoccupazione (VOC), presentano mutazioni che interessano una parte che serve proprio al legame coi recettori cellulari (principalmente gli ACE2), noto come RBD (Receptor binding domain).

Tutto questo implicherebbe una maggiore trasmissibilità. Il fenomeno è tuttavia più complesso, perché può rientrare tra diverse concause, che non dipendono meramente dal virus, quanto da diversi altri fattori che determinano l’andamento della pandemia. In diverse regioni del Regno Unito, per esempio, gioca un ruolo importante la presenza di una numerosa comunità indiana, con continui scambi col Subcontinente. Più recentemente la variante Delta ha preoccupato per via di una presunta capacità di «bucare i vaccini». Quanto è corretta questa definizione? Molto poco, come vedremo.

Le infezioni e i decessi con la variante Delta nel Regno Unito

In un report della Public Health England (PHE) del 18 giugno, intitolato «SARS-CoV-2 variants of concern and variants under investigation in England», troviamo i dati relativi ai casi di infezione riscontrate e il numero dei decessi per la variante Delta a partire dal 1 febbraio al 14 giugno 2021:

Tabella casi Covid varianti Regno Unito

In data 14 giugno 2021 risultano 60.624 casi positivi alla variante Delta, dei quali: 35.521 di persone non vaccinate, 4.094 sono risultate positive nei 21 giorni successivi alla prima dose del vaccino, 9.461 oltre i 21 giorni dalla prima somministrazione e 4.087 quelli che avevano ricevuto la seconda almeno 14 giorni prima. I decessi totali sono invece 73 di cui 34 non vaccinati, 11 con la prima dose e 26 con la seconda. Ricordiamolo: sono dati che fanno riferimento al periodo dal 1 febbraio al 14 giugno 2021.

Tabella decessi varianti Covid Regno Unito

I dati della variante Alpha (la nota “inglese”) sono molto diversi e largamente superiori. Sebbene comparsa molto tempo prima nel Regno Unito, il numero dei casi è di 218.332 con un totale di decessi conosciuto di 4.259. Se in data 14 giugno 2021 la variante predominante è quella Alpha con il 77,9% dei casi, la variante Delta tocca il 21,1% riscontrando però 73 decessi.

I dati delle ospedalizzazioni nel Regno Unito

I dati che dobbiamo tenere con maggiore attenzione sono quelli dei posti letto Covid19. Nel sito istituzionale dedicato alla Pandemia Coronavirus possiamo consultare i grafici relativi alle ospedalizzazioni. Attualmente i pazienti ricoverati sono 1.378 con 227 sotto ventilazione, un dato molto diverso da quello vissuto durante la seconda ondata a inizio 2021 e proprio nel periodo in cui il Regno Unito stava iniziando a somministrare i vaccini.

Grafico ospedalizzazioni Regno Unito Covid
Tabella 1: Patients admitted to hospital

Vediamo nel dettaglio i dati da febbraio a giugno 2021:

Ospedalizzazioni Covid Regno Unito febbraio giugno 2021

Ecco il grafico relativo ai posti occupati per i pazienti che necessitano la ventilazione meccanica:

Grafico ospedalizzazione e ventilazione Regno Unito Covid

Da questi dati non risulta che vi sia un aumento delle ospedalizzazioni dovute alla variante Delta.

Cosa si intende per «efficacia» nei vaccini anti-Covid

Questi dati potrebbero essere interpretati in maniera fuorviante, se non contestualizzati. Per esempio, sappiamo che la principale misura di efficacia dei vaccini anti-Covid esistenti è quella di impedire i sintomi gravi della malattia, non il contagio. In questo senso diventa fondamentale raggiungere una immunità di gregge, la quale permette comunque indirettamente, che ai piani vaccinali si associno anche una ridotta trasmissibilità, come suggeriscono diversi studi preliminari analizzati dal Ecdc.

Del resto esiste sempre una quota – per quanto minima – di persone che non risponderanno al vaccino, ammalandosi lo stesso, questo ha permesso già di pubblicare modelli in cui si prospettano – con l’avanzamento dell’immunizzazione – futuri ricoveri di persone vaccinate. È statisticamente possibile, lo sapevamo già ed è irrilevante rispetto ai benefici complessivi.

L’importanza della seconda dose

In Inghilterra, tra i casi che tornano a superare i 10 mila, troviamo anche una quota di vaccinati. A far discutere una recente correspondence pubblicata su The Lancet il 14 giugno 2021. Il lavoro si basa sui dati raccolti dalla piattaforma di sorveglianza scozzese EAVE II, relativi a «5,4 milioni di persone (circa il 99% della popolazione scozzese)». I ricercatori hanno voluto stimare l’efficacia dei vaccini nel prevenire l’ospedalizzazione dei positivi. Se letta con attenzione, l’analisi non presenta niente di significativo, anche in ragione della variante Delta.

Tabelle efficacia vaccini varianti Covid
Efficacia dei vaccini contro le varianti Alpha e Delta con una o due dosi. Fonte: report del PHE del 18 giugno 2021.

«La nostra analisi ha coperto il periodo dal 1 aprile al 6 giugno 2021, per la distribuzione demografica dei casi. Entro il 1 aprile 2021, il 44,7% della popolazione in Scozia aveva ricevuto una dose del vaccino COVID-19 e il 7,6% aveva ricevuto due dosi – continuano gli autori – Alla fine del periodo di studio (cioè, 6 giugno 2021), il 59,4% aveva ricevuto una dose e il 39,4% due dosi. […] Nel complesso, un forte effetto del vaccino non si è manifestato chiaramente fino ad almeno 28 giorni dopo la prima dose di vaccino».

«L’analisi negativa al test per stimare l’efficacia del vaccino nella prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 confermata dalla RT-PCR ha mostrato che, rispetto a quelli non vaccinati, almeno 14 giorni dopo la seconda dose, BNT162b2 (vaccino Pfizer-BioNTech) offriva un’ottima protezione: 92% (95% CI 90-93) […] La protezione associata a ChAdOx1 nCoV-19 (vaccino Oxford-AstraZeneca) è stata, tuttavia, sostanziale ma ridotta».

«Poiché c’è stata una tendenza nell’assorbimento del vaccino e una tendenza all’aumento della variante Delta, l’adeguamento temporale con una tendenza generale potrebbe non tenere pienamente conto di questi cambiamenti. Inoltre, non è stato eseguito alcun test di significatività formale per confrontare i vaccini».

In un recente preprint relativo ai dati della Sanità britannica, su un campione di 14.019 sintomatici con variante Delta, 166 risultavano ricoverati. I rapporti di rischio ospedalizzazione con la prima e seconda dose di vaccino erano rispettivamente 0,37 e 0,29. Questo ha permesso ai ricercatori di stimare che l’efficacia di Pfizer tra prima e seconda dose fosse rispettivamente del 94 e 96%. Con AstraZeneca l’efficacia variava tra il 71 e 92%. Dati molto simili a quelli forniti dal PHE.

Se usiamo un occhio statistico, senza lasciarci impressionare dai casi eccezionali, vedremo dunque che i vaccini presentano livelli di protezione elevati anche contro la variante Delta, similmente a quel che succede con la variante inglese (variante Alfa: lignaggio B.1.1.7).

Le concause della maggiore trasmissibilità

Già in una precedente intervista l’esperto di genomica comparata Marco Gerdol ricordava alcuni punti importanti e necessari a una migliore comprensione:

«Il problema è che gli inglesi hanno scelto di spingere il più possibile la prima dose con AstraZeneca, per poi allungare i tempi il più possibile con la seconda. Così l’efficacia è più bassa di circa un 20%. Sono dati coerenti coi saggi da laboratorio condotti su pseudovirus, dove vediamo una riduzione minore rispetto a quella che si vede con altre varianti, come la sudafricana, che resta la peggiore da questo punto di vista. Sicuramente la variante Delta non metterà in crisi le campagne vaccinali».

Ha fatto recentemente eco alle analisi di Gerdol anche il virologo Roberto Burioni, in un recente tweet:

«Ora io vi chiedo quante cose nella vita (caschi, cinture di sicurezza, airbag, ABS e via dicendo) proteggono quanto i vaccini contro la variante delta. Poche vero?». 

La lettera di Burioni e Topol su Nature

In una lettera firmata assieme a Eric J. Topol apparsa su Nature Medicine, Burioni stila una analisi dell’evoluzione di SARS-CoV-2 in termini di trasmissibilità ed evasione delle difese immunitarie; cosa che è possibile osservare mentre accade per la prima volta nella storia della medicina.

Se la variante Delta risulta associata a una maggiore contagiosità, quella che comporterebbe maggiori rischi in assoluto di eludere le difese immunitarie suscitate dalla vaccinazione è invece quella quella sudafricana (variante Beta: lignaggio B.1.351). Eppure sapevamo già che questo non ha messo in crisi le campagne vaccinali. Un discorso simile può essere fatto per la variante brasiliana (variante Gamma: lignaggio P.1).

«Finora, è stato dimostrato che la variante B.1.351 ha la maggiore capacità di sfuggire al sistema immunitario, sebbene non a un livello che abbia sostanzialmente diminuito la protezione fornita dai vaccini. La variante P.1 ha anche una notevole capacità di eludere la risposta immunitaria – continuano gli autori – sembra che B.1.617.2 abbia alcune caratteristiche che combinano trasmissibilità avanzata e immunoevasione. […] Sottolineiamo, tuttavia, che una maggiore trasmissibilità, piuttosto che l’immunoevasione o una maggiore letalità, sarebbe considerata il percorso più potente affinché il virus diventi più in forma e praticabile».

Conclusioni

Il virus più tempo passa, maggiori diventano le probabilità che peggiori. In questo rientra certamente anche la diffusione della variante Delta. Ed è proprio per questo che si auspicano campagne vaccinali più veloci con priorità ai soggetti ritenuti più suscettibili di sviluppare forme gravi. Come leggiamo anche in un recente articolo del professor Enrico Bucci su Il Foglio. Per gli addetti ai lavori, dunque, non sembra che la capacità di «bucare i vaccini» sia una qualità rilevante del nuovo mutante indiano.

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