Tutto quello che c’è da sapere sulla variante Delta che sta colpendo il Regno Unito: facciamo il punto con l’esperto di genomica Marco Gerdol

Perché i casi legati al mutante indiano sembrano localizzati soprattutto nel Regno Unito? Risponde l’esperto di genomica, secondo cui comunque la variante Delta non metterà in crisi le campagne vaccinali

Dopo una prima fase nella quale è emersa nel Regno Unito la variante cosiddetta “indiana” del nuovo Coronavirus, si è cominciato a parlare del «doppio mutante» proveniente dall’India, costituito da due mutazioni relative alla composizione dell’antigene virale, che si pensavano pericolose: L452R e E484Q. Abbiamo invece scoperto abbastanza presto che l’aumento dei casi in Inghilterra, associato alla comunità indiana presente nel Paese, sembra correlarsi in maniera significativa a un altro corredo di mutazioni proveniente dall’India, tra cui spicca la coppia T487K e L452R.

Se il precedente «doppio mutante» risulta oggi una variante di interesse (VOI) – quindi non particolarmente preoccupante – quest’altro mutante, ribattezzato variante Delta, sembra invece una VOC (variante di maggiore preoccupazione). Come lo sappiamo? Dobbiamo preoccuparci anche qui in Europa? L’esperto di genomica comparata dell’Università di Trieste Marco Gerdol ci ha aiutato a fare nuovamente il punto sulla situazione.

Nota tecnica – L’antigene, in questo caso meglio noto come proteina Spike (S), serve al virione (il singolo virus) a infettare le cellule. Le varianti di maggiore preoccupazione (VOC), presentano mutazioni che interessano una parte che serve proprio al legame coi recettori cellulari (principalmente gli ACE2), noto come RBD (Receptor binding domain).

Le varianti indiane: dal «doppio mutante» alla «variante Delta»

«Inizialmente si è parlato molto del doppio mutante – ha detto il genetista – che di fatto aveva una mutazione in posizione 484; quella dove in altre varianti troviamo la famosa E484K, come in quella brasiliana e sudafricana. Nel caso del doppio mutante era diversa, perché non riguardava la lisina, bensì la glutammina. Visto che i primi casi notificati avevano questa mutazione, e visti gli scarsi dati che arrivavano dall’India, ci siamo un po’ focalizzati su questa». 

«In realtà ci siamo resi conto abbastanza presto che, come numero assoluto di casi da importazione dall’India, soprattutto verso il Regno Unito, praticamente era una variante simile che condivideva alcune mutazioni come quelle citate, ma ne presentava anche altre. Così dalla singola variante si è passati a parlare di tre varianti indiane. Parliamo in pratica di tre varianti che hanno avuto origine in India, che hanno codici abbastanza simili: quella del doppio mutante era la B.1.617.1; poi quella che è diventata una vera e propria VOC, associata a una impennata di casi in Inghilterra, è la B.1.617.2». 

Quella che caratterizza la variante Delta e che preoccupa maggiormente sembra essere la mutazione T487K. «Le mutazioni sono parecchie a dire la verità. Se guardiamo la Spike, non presenta solo la 487K, ne ha diverse altre, però le più rilevanti sono proprio questa e la L452R, condivisa anche dalla B.1.617.1, così come per tante altre varianti, come quelle californiane. Parliamo di una mutazione un po’ fastidiosa dal punto di vista dell’evasione anticorpale. Determina infatti il malfunzionamento di alcuni anticorpi monoclonali. Per questo alcuni monoclonali di prima generazione in alcuni casi sono stati anche lasciati perdere come distribuzione dalle stesse case farmaceutiche». 

Come rispondono i vaccini alla «variante Delta»

Il potenziale pericolo di una evasione anticorpale potrebbe mettere in difficoltà anche gli anticorpi indotti dai vaccini? «Dobbiamo fare riferimento in questo caso ai report inglesi – spiega Gerdol – L’efficienza resta piuttosto alta; specialmente con Pfizer e AstraZeneca, di cui abbiamo maggiori dati al momento. Questo non solo per quanto riguarda la prevenzione dei casi che richiedono ospedalizzazione, ma anche per la protezione dall’infezione. Si vede ovviamente una riduzione dell’efficacia, ma è piuttosto modesta. Le ultime stime parlano di una riduzione del 6% con la seconda dose».

«Il problema è che gli inglesi hanno scelto di spingere il più possibile la prima dose con AstraZeneca, per poi allungare i tempi il più possibile con la seconda. Così l’efficacia è più bassa di circa un 20%. Sono dati coerenti coi saggi da laboratorio condotti su pseudovirus, dove vediamo una riduzione minore rispetto a quella che si vede con altre varianti, come la sudafricana, che resta la peggiore da questo punto di vista. Sicuramente la variante Delta non metterà in crisi le campagne vaccinali».

La nuova classificazione delle VOC: Alfa, Beta, Gamma, Delta e Kappa

Possiamo quindi considerare la variante Delta una VOC? E perché adesso la chiamiamo così? «Se guardiamo la classificazione dell’OMS è diventata la quarta VOC – continua l’esperto – Per quello parliamo di varianti Alfa (inglese), Beta (sudafricana), Gamma (brasiliana) e Delta (la seconda variante indiana). La variante indiana con la doppia mutazione è diventata invece la variante Kappa (considerata ancora VOI). In questo modo facciamo meno confusione a livello comunicativo, rispetto alle solite classificazioni, che sono più utili per gli addetti ai lavori, i quali studiano tutti i vari lignaggi. Inoltre si evita di associare una variante ad un Paese».  

Cosa sappiamo della sua effettiva trasmissibilità?

Quando parliamo di varianti occorre sempre contestualizzare. Non sempre la maggiore diffusione di una variante è dovuta solo alle sue doti intrinseche, molto si deve anche a come ci comportiamo noi, divenendo magari dei diffusori inconsapevoli. «Sicuramente in questo momento nel Regno Unito abbiamo la variante Alfa, che sta progressivamente calando, la curva dei casi a essa associata continua a scendere, un po’ come succede in Italia – spiega Gerdol – Sulla variante Delta sta invece montando velocemente una curva. Perché sta succedendo questo? Ci sono tante spiegazioni possibili, e non mutualmente esclusive; piuttosto sono delle concause. La prima è che questa variante sia intrinsecamente più trasmissibile, determinando infezioni con cariche virali più alte. Questo potrebbe aver senso anche osservando la sequenza, per via del taglio furinico, di cui avevamo già parlato».

Nella precedente intervista rilasciata a Open, Gerdol aveva spiegato perché le presunte anomalie riscontrate nella Spike non potevano essere la prova di una ingegnerizzazione, citando termini tecnici come «taglio furinico». Semplificando molto, si tratta di inserzioni nell’antigene, che a ben vedere sarebbero state fatte in maniera poco ottimale, là dove uno scienziato avrebbe preferito eseguire la presunta ingegnerizzazione molto meglio. L’evoluzione ha portato il virus a compensare queste inadeguatezze, sviluppando mutazioni, che troviamo in diverse varianti, compresa la Delta.

«Questa variante guardacaso ha una mutazione proprio in corrispondenza del sito di taglio furinico: subito prima. C’è una prolina che muta in arginina in posizione 681; questa è sicuramente importante per aumentare in qualche modo l’infettività, perché aumenta l’efficienza del taglio furinico. Quindi facilità l’impacchettamento della Spike nel virione. Guardacaso anche la variante inglese ha una mutazione proprio nella stessa posizione».

Il ruolo della comunità indiana nel Regno Unito

C’è anche una seconda spiegazione però. «Abbiamo sicuramente una concausa nell’importazione dei casi dall’India – continua il Genetista – Intanto la comunità indiana in Inghilterra è enorme: circa mezzo milione di indiani solo a Londra. Fino a due mesi fa c’è stato anche un movimento di persone tra l’India e il Regno Unito. In sostanza sono arrivati molte centinaia di casi, alcuni non sono stati tracciati proprio benissimo, e hanno portato a dei cluster locali, in una situazione in cui i numeri erano già diventati molto bassi, meno di duemila al giorno in tutto il Paese. Allora se tra questi cominci ad averne cento o duecento importati dall’India tracciati male, ecco che allora può esserci una sorta di turnover tra le varianti».

«In alcuni contesti, in particolare in tutte le zone del Nord-Ovest dell’Inghilterra, limitrofe a Manchester, ci sono stati tanti casi, inizialmente nella comunità indiana. Tutte persone molto giovani e che non sono ancora vaccinate con la seconda dose. Per quanto in Inghilterra risulti una buona copertura, in realtà è ancora ben lontana dal garantire l’ipotetica soglia dell’immunità di gregge. Quindi non è sorprendente che i casi possano nuovamente crescere. In quelle zone i casi sono più che triplicati».

Perché la variante sembra colpire maggiormente i giovani

Fa più lo spostamento delle persone che la capacità intrinseca del virus. «Stando alle stime sembra una variante molto trasmissibile – spiega Gerdol – forse un po’ più di quella inglese. Andando a valutare il numero medio di contagi secondari derivati da una persona infetta, si parlerebbe di un 50-70% di trasmissibilità in più. Però bisogna essere cauti. La comunità in cui sta circolando questa variante è un po’ particolare. Sono persone molto giovani, con dinamiche interpersonali diverse rispetto alla popolazione generale. Abbiamo anche una crescita delle ospedalizzazioni, ma non altrettanto ripida quanto il numero dei casi, e per quanto riguarda i decessi siamo ancora piatti, non c’è stato nessun rialzo; i casi tra gli anziani sono rimasti stabili».

«Proprio questa è una evidenza che i vaccini funzionano contro la variante. L’ondata che si sta creando in alcune zone dell’Inghilterra non è destinata a portare un numero di decessi altrettanto elevati di quelli delle ondate precedenti. Mentre i diecimila casi di autunno erano in particolare persone anziane, i diecimila di oggi sono in larga parte persone sotto i 50 anni, quindi con meno problematiche. Siamo comunque ancora lontani da quella sicurezza per cui possiamo fare come se il virus non ci fosse».

Asimmetria tra i casi nel Regno Unito e nell’Unione europea

Tutto questo sembra rendere il problema localizzato al momento nel Regno Unito, mentre nell’Unione europea abbiamo valori decisamente diversi, almeno per il momento. «Per ora il problema c’è solo nel Regno Unito, proprio perché il peso delle importazioni dall’India è stato molto forte – conferma l’esperto – Per altro non parliamo nemmeno di tutto il Regno Unito. La situazione è piuttosto eterogenea. Se prendessimo solo il Nord-Ovest, la curva dei contagi è già paragonabile a quella dell’ondata invernale. Nelle altre zone vediamo ancora un rialzo ai suoi inizi, ed è difficile prevedere se a Londra potrà succedere la stessa cosa». 

«Nel resto dell’Europa non vediamo segni di questa risalita. I casi di variante indiana sono relativamente pochi. C’è stato anche meno traffico di persone dall’India all’Europa. Per altro i primi casi sono di tre mesi fa. Al momento come frequenza siamo tra l’1 e il 3%. Non vediamo crescite esplosive come in Inghilterra». 

La situazione italiana e l’importanza dei vaccini

«Bisogna attendere di avere una copertura con seconda dose almeno del 60% per avere una situazione come quella che vediamo adesso in Israele, dove si tende ad abbassare la guardia anche su cose abbastanza assodate come l’uso delle mascherine – conclude Gerdol – Trenta mila casi in una popolazione vaccinata hanno un peso inferiore rispetto a quello che abbiamo visto questo inverno con molti anziani colpiti. È evidente che se vogliamo evitare quel che succede oggi nel Regno Unito non si può fare altro che continuare a vaccinare e aumentare la quota di persone immunizzate». 

«Se prendiamo tutto il mese di maggio, abbiamo 114 casi di variante indiana sequenziati dopo 3139 totali, in pratica il 3%. Più o meno in linea col resto d’Europa. Se continuano a calare i casi è chiaro che avrai un aumento di quelli con le varianti, che tendono maggiormente a sfuggire alla risposta anticorpale, ma senza un aumento complessivo di positivi e ospedalizzati, non hai da temere nulla di che. Il problema è quando hai un sensibile rialzo nel numero dei casi che richiedono assistenza medica». 

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Foto di copertina: ANSA/ANDY RAIN | A Covid-19 vaccination centre in London, Britain, 01 June 2021. The UK government is pushing ahead with its vaccination program in its fight against the Delta variant that continues to spread across England. The UK government plans to lift lockdown restrictions completely 21 June.

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