Covid, smontiamo la psicosi da variante indiana: ecco perché non deve allarmarci

Sulla mutazione sono emersi recentemente nuovi dati, contenuti in un report dell’ente europeo Ecdc. Breve guida per interpretarli correttamente

Secondo l’ultimo report dell’Ecdc, organo europeo per il controllo delle malattie, stanno emergendo nuovi dati sulla presenza della variante indiana in Europa, prevalentemente dal Regno Unito, dove è noto che vengono fatti molti più sequenziamenti. Esiste quindi un allarme da parte dell’Ente europeo, come titolano alcune testate? Assolutamente no. Questa psicosi che si genera ogni volta che salta fuori l’ennesima variante del nuovo Coronavirus non ha molto senso.

Per chi ha fretta:

  • Occorre sempre distinguere tra varianti di maggiore preoccupazione (VOC) e varianti di interesse (VOI);
  • Le VOC sono la variante inglese, sudafricana e brasiliana: quelle che mostrano maggiori indizi di poter eludere le difese immunitarie o aumentare la pericolosità di SARS-CoV-2;
  • Le VOI mostrano meno evidenze e sono oltre un migliaio, se fossero collegate causalmente a dei peggioramenti ce ne saremmo già accorti;
  • Fino a oggi i vaccini approvati dall’EMA e dall’FDA non hanno mostrato efficacia significativamente più bassa in risposta alle VOC;
  • Anche se la variante indiana si è mostrata associata a un nuovo picco epidemico in alcune zone dell’India, esistono nel paese altri fattori che possono spiegare il fenomeno.

Analisi

Sulle agenzie di stampa che fanno riferimento al documento dell’Ecdc si parla di molti casi segnalati nel Regno Unito e pochi in Italia. La notizia non è allarmante. Si segnala solo che ci sono evidenze della sua presenza nel continente, come di tante altre varianti. I lignaggi B.1.617+ definiscono il mutante G/452R.V3 (che tutti noi conosciamo come variante «indiana»). È classificata nella tabella dell’Ecdc come variante di interesse (VOI), differentemente dalle varianti di maggiore preoccupazione (VOC), queste non mostrano indizi rilevanti di una maggiore pericolosità o capacità di eludere le difese immunitarie.

Le tre linee evolutive della variante indiana

In totale conosciamo tre linee evolutive sequenziate per la prima volta in India: B.1.617.1, B.1.617.2 e B.1.617.3. Attualmente sono state rilevate anche in altri Paesi. A eccezione di B.1.617.2, presentano la doppia mutazione L452R/E484Q. Sono i due «mattoncini» mutati nel codice genetico di SARS-CoV-2 che potrebbero interessare i suoi antigeni (proteine Spike (S).

Dal momento che il virus usa le Spike per infettare le cellule, e a sua volta il sistema immunitario può riconoscere il patogeno attraverso queste ultime, è comprensibile che tali mutazioni vengano tenute sotto osservazione. Non di meno al momento non ci sono ragioni che giustifichino un allarme.

«Il Regno Unito ha assistito a un rapido aumento nel rilevamento della discendenza B.1.617.1 e, in misura maggiore, B.1.617.2, associata ai viaggi in India e alla successiva trasmissione della comunità – continua il report – Il 6 maggio, il Regno Unito (UK) ha designato la linea B.1.617.2 come una variante di maggiore preoccupazione».

Contrariamente a quanto si pensava inizialmente, il doppio mutante L452R/E484Q non è affatto preoccupante. Mentre B.1.617.2 che ne è priva, è quella che risulta più diffusa in India. La comunità indiana in Inghilterra è piuttosto numerosa, con continui contatti col subcontinente. Del resto l’Ente europeo continua a considerare VOI tutti i lignaggi della variante indiana:

«In questo momento, l’ECDC mantiene la sua valutazione di B.1.617.1, B.1.617.2 e B.1.617.3 come varianti di interesse e continuerà a monitorare attivamente la situazione […] Le informazioni limitate finora riguardo a queste nuove varianti non cambiano l’attuale consiglio dell’ECDC sulle misure non farmaceutiche. […] È necessaria un’ulteriore caratterizzazione di questi lignaggi per consentire una valutazione completa delle loro potenziali implicazioni per la salute pubblica».

Dobbiamo allora capire cos’ha di speciale B.1.617.2 rispetto agli altri lignaggi col doppio mutante.

La variante indiana nel Regno Unito

L’esperto di genomica comparata Marco Gerdol ha pubblicato su Facebook un’analisi molto lucida della situazione britannica in relazione alla presenza della variante indiana. L’esperto fa riferimento ai dati pubblicati dal Public Health England.

Sul mirino finisce quindi un altro mattoncino mutato del genoma di SARS-CoV-2: T478K – presente nel lignaggio B.1.617.2 – associato a possibili mutazioni nel legame tra la proteina Spike (S) e le cellule polmonari, ovvero tra la regione RBD dell’antigene e i recettori ACE2.

«In primo luogo ci si è resi conto che l’iniziale timore relativo al “doppio mutante” L452R/E484Q non era particolarmente fondato – continua Gerdol – Di fatto, il forte bias di sequenziamento che c’era stato tra gennaio e febbraio per quanto riguarda lo stato del Maharashtra aveva dato l’errata impressione che posse proprio questo lineage virale (B.1.617.1) ad essere il più diffuso nel subcontinente indiano».

«In realtà per numero di casi esportati, in UK, così come nel resto d’Europa, in Australia, negli Stati Uniti ed in vari paesi asiatici, B.1.617.1 è notevolmente dietro ad una seconda variante ad essa filogeneticamente correlata, detta B.1.617.2, che è proprio quella maggiormente diffusa in India e sulla quale si stanno concentrando in questo momento i maggiori sforzi di caratterizzazione funzionale».

«B.1.617.2 non presenta E484Q (e non è dunque caratterizzata da una mutazione RBD nella medesima posizione della E484K trovata in B.1.351 e P.1), ma T478K, un’altra mutazione di probabile rilievo in quanto è in grado di alterare l’affinità di legame tra RBD ed ACE2».

Anche se per i britannici – che non fanno più parte dell’Ue – il lignaggio B.1.617.2 viene considerato VOC, non esistono sufficienti evidenze per ritenerlo tale nell’Unione europea, specialmente in relazione ai vaccini.

«E’ infine da tenere in considerazione il fatto che la classificazione di B.1.617.2 come VOC è al momento legata esclusivamente ad una presunta maggiore trasmissibilità, che è del tutto plausibile – conclude il Genetista – Ad oggi le evidenze riguardo a fenomeni di evasione immunitaria da parte di B.1.617.2 restano modeste […] La riduzione del titolo neutralizzante di sieri prelevati da soggetti già infettati o precedentemente vaccinati con vaccino Pfizer sembra essere di lieve entità rispetto [alla variante “sudafricana”] e dunque molto probabilmente non in grado di rappresentare un ostacolo significativo per la campagna vaccinale».

Conclusioni

Abbiamo visto che non esiste un allarme dovuto alla variante indiana in Europa. È legittimo che tutti i lignaggi di SARS-CoV-2 vengano monitorati e studiati, ma senza dimenticare gli altri fattori in gioco, dalle differenti misure di contenimento agli eventuali allentamenti. Al momento non risultano varianti Covid che mostrano di compromettere significativamente le campagne vaccinali, almeno nei paesi dell’Unione europea e negli Stati Uniti. Proprio l’India (come anche il Cile) è un esempio di quanto sia poco saggio dare tutte le colpe alle varianti, quando si possono trovare tante altre spiegazioni nel contesto sociale, sanitario e amministrativo.

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Foto di copertina: EPA/HARISH TYAGI | Immagine di repertorio.

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