Quanto incidono le varianti più preoccupanti nell’andamento della pandemia? Quanto possiamo incidere noi?

Cosa dicono i report dell’OMS e del Ecdc sul potenziale pericolo di un virus mutato. Quanto possiamo fare noi con vaccini e mascherine sarà altrettanto decisivo

Allo stato attuale quanto possono aver influito nel mondo le varianti Covid definite VOC (Variants of concern)? Sono quelle che preoccupano maggiormente gli esperti, specialmente quando vi trovano la mutazione E484K. Più il nuovo Coronavirus ha modo di circolare, maggiori saranno le possibilità dell’emergere di mutazioni.


È impossibile eseguire campionamenti a tappeto, individuando tutti gli asintomatici presenti nel Pianeta. Difficilmente possiamo quindi stimare quanto le varianti siano diffuse, e capire chiaramente se il prevalere di alcune dipende da una maggiore virulenza o da una migliorata capacità di evadere le difese immunitarie.


Recentemente il virologo Roberto Burioni ha invitato ad abbandonare i toni allarmisti. Al momento non risultano evidenze significative di una ridotta efficacia dei vaccini attualmente in distribuzione a causa delle varianti. Più o meno sulla stessa linea sembrano essere l’esperto di genomica comparata Marco Gerdol e il biologo esperto revisore di pubblicazioni scientifiche Enrico Bucci.

Un recente report dell’OMS registra infine un calo del 16% dei nuovi casi nel mondo rispetto alla settimana precedente. Anche i morti risultano diminuiti, con un calo del 10% di quelli segnalati una settimana prima. Il documento dell’Organizzazione mondiale della Sanità dedica spazio anche al problema delle varianti VOC. Difficile considerare questo documento la prova di un poco significativo ruolo delle mutazioni. L’Ecdc (equivalente europeo dei CDC americani nello studio e prevenzione delle malattie) ha recentemente pubblicato un suo report, con proiezioni che sembrano meno ottimiste.

Le varianti più preoccupanti (VOC) nel Mondo

Il 16 febbraio l’OMS conta 2,7 milioni di nuovi casi nel mondo. Equivalgono a un calo del 16% rispetto alla precedente settimana di monitoraggio. I nuovi decessi sono circa 81 mila, e rappresentano un calo del 10%. Nel documento l’OMS conta in totale 108,2 milioni di casi.

L’OMS conta 450 mila sequenziamenti in 131 paesi, prevalentemente in Danimarca, Regno Unito e Stati Uniti (circa il 70% del totale). Le sequenze dell’intero genoma provengono dal 60% dei laboratori GISRS.

Nel momento in cui scriviamo, dai dati GISAID la variante inglese risulta in 81768 genomi (8645 fuori dal Regno Unito); la sudafricana in 1450 genomi (di cui 853 fuori dal Sudafrica); la brasiliana in 152 genomi (di cui 58 fuori dal Brasile). Vediamo ora come sono distribuite queste tre varianti nel mondo.

Variante «inglese» (B.1.1.7)

Oggi secondo Ecdc la sola variante inglese (B.1.1.7) risulta in un totale di oltre 57 mila casi nel mondo, 5700 in Europa. Quelli con la mutazione E484K – associata in diversi studi preliminari a un potenziale rischio di maggiore virulenza e/o evasione immunitaria – in Europa sono al momento 28, tutti nel Regno Unito.

«La variante B.1.1.7 è stata ora rilevata in tutti i paesi dell’UE/SEE che hanno una capacità di rilevamento significativa – continua il report di Ecdc – Dalla sua identificazione, sono stati segnalati circa 57 400 casi a livello globale, inclusi circa 5 700 casi nell’UE/SEE. Public Health England ha segnalato 28 casi B.1.1.7 genomicamente confermati con una mutazione aggiuntiva (E484K). Questa mutazione è trasportata anche dalle varianti B.1.351 [sudafricana] e P.1. [brasiliana] L’analisi filogenetica preliminare suggerisce almeno tre eventi di acquisizione separati».

Variante «sudafricana» (B.1.351)

La variante sudafricana (B.1.351) si trova in 40 paesi nel mondo, con un totale di 1400 casi accertati. Non di meno, oltre il 90% riguarda sequenziamenti eseguiti in Sudafrica. Nell’Unione europea si contano 350 casi  in 16 paesi (295 nella sola Austria), buona parte senza che sia stato possibile trovare un collegamento epidemiologico.

«La sorveglianza ambientale di un recente campione di acque reflue di un villaggio del Tirolo mostra che il 70% dell’RNA appartiene alla linea B.1.351. Il Belgio ha segnalato gruppi di casi con questa variante in strutture di assistenza a lungo termine e una scuola. Una rapida impennata nei casi della variante è stata segnalata anche nel territorio francese d’oltremare Mayotte – leggiamo nel documento europeo – Nei paesi che riportano i risultati del sequenziamento, B.1.351 comprende ancora <1% dei casi sequenziati. Tuttavia, non è noto se questa variante abbia un vantaggio selettivo su B.1.1.7, e quindi il potenziale per competere in contesti in cui le due varianti co-circolano».

Variante «brasiliana» (P.1)

Anche la variante brasiliana (P.1) risulta in meno del 1% dei casi sequenziati. Segnalata per la prima volta in Giappone da un gruppo di turisti di rientro dall’Amazzonia, la troviamo in 200 casi a livello mondiale in 17 paesi. Nell’Unione europea si contano 30 casi in cinque paesi. 

Non è solo un problema di varianti

Anche l’Ente europeo constata un calo complessivo dei casi in Europa. Al momento è più probabile associarlo agli interventi non farmaceutici (NPI), come il distanziamento sociale e l’uso di mascherine.

In tutto questo non è possibile ancora capire se le varianti abbiano dato a SARS-CoV-2 una maggiore virulenza. Quanto riscontriamo sulla loro diffusione potrebbe dipende anche da una aumentata capacità di sfuggire alle difese immunitarie. Una delle preoccupazioni è che l’introduzione dei vaccini possa portare a una rilassatezza e una certa stanchezza nell’opinione pubblica. Insomma, non dovremmo adagiarci nella falsa speranza che non sia più così importante l’osservanza delle NPI.

«Mentre la maggior parte dei paesi sta attualmente assistendo a un calo delle infezioni complessive come risposta agli NPI – spiega il report – l’introduzione e l’aumento della diffusione di nuove varianti SARS-CoV-2 identificate per la prima volta nel Regno Unito (B.1.1.7), Sud Africa (B.1.351) e il Brasile (P.1) ha sollevato preoccupazioni. Come suggerito dalle recenti proteste anti-blocco e dai disordini civili in alcune città europee, la stanchezza pandemica potrebbe influenzare negativamente la continua accettazione e il rispetto degli NPI da parte della popolazione».

Forse il pericolo maggiore potrebbe essere quello di ingigantire eccessivamente il potenziale ruolo delle varianti. Non dovremmo trascure quanto possiamo fare noi, studiando piani vaccinali più efficienti e rapidi.

L’osservanza del distanziamento sociale e l’uso di mascherine, per quanto estenuante dopo un anno di pandemia, non dovrebbe essere banalizzato. È ancora fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto gli NPI saranno decisivi nell’uscire definitivamente dall’emergenza sanitaria.

Foto di copertina: geralt | Varianti Covid.

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