Polemica per la schwa (ə) in un concorso universitario. Parte la raccolta firme, nell’elenco anche Barbero, Cacciari e Flores d’Arcais

Secondo i firmatari si tratta di un artificio «frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica»

Una raccolta firme «a difesa della lingua nostra». È comparsa su Change.org dopo che il ministero dell’Istruzione ha usato la schwa (ə) in una procedura concorsuale universitaria, tra l’altro per l’abilitazione a professore universitario di Organizzazione aziendale, nel settore delle discipline economico-giuridiche: il carattere schwa è usato per rendere neutri sostantivi e aggettivi, quindi né maschili né femminili, e finora si leggeva quasi esclusivamente nei testi di una parte dei movimenti femministi ed Lgbtq+. La petizione, lanciata da Massimo Arcangeli (linguista e scrittore, ordinario di Linguistica italiana all’Università di Cagliari), prende in esame un estratto del verbale pubblicato dal Miur e si scaglia contro l’uso della schwa, in questo caso applicata alla parola professore. Nell’invito a firmare si parla di «una pericolosa deriva, spacciata per anelito d’inclusività da incompetenti in materia linguistica, che vorrebbe riformare l’italiano […], promotori dell’ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto, pur consapevoli che l’uso della “e” rovesciata non si potrebbe mai applicare alla lingua italiana in modo sistematico».


Il dibattito continua dunque a dividere puristi della lingua italiana e chi sostiene invece la necessità di rinunciare a questo punto al genere delle parole. Nella petizione si associa la schwa agli altri simboli usati con lo stesso intento come slash, asterischi o chiocciole, ma anche agli «altri specifici suoni (come la “u” in “Caru tuttu”, per “Cari tutti, care tutte”), che si vorrebbe introdurre a modificare l’uso linguistico italiano corrente» ma che, stando a quello che spiega il professor Arcangeli, non sarebbero motivati da reali richieste di cambiamento. Secondo l’appello, si tratta di artifici «frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell’inclusività».


Una posizione condivisa da molti altri professori e scrittori che hanno lasciato la loro firma in calce alla petizione. Tra questi, spicca il nome di Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, già Ordinario di Storia della Lingua italiana, all’Università del Piemonte Orientale. Proprio l’Accademia della Crusca si era pronunciata a riguardo qualche tempo fa con un lungo articolo del linguista Paolo D’Achille che aveva concluso: «Non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo». Ma sono tante le firme note ad aver condiviso l’appello «Pro lingua nostra». C’è quello dello storico e scrittore Alessandro Barbero, Ordinario di Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale; quello dei filosofo Massimo Cacciari, quello delle italianiste Giovanna Ioli e Cristina Nessi. E ancora, hanno firmato: l’attore e regista Ascanio Celestini, il giornalista e autore Michele Mirabella, il filosofo Paolo Flores d’Arcais e la poetessa Edith Bruck. E l’elenco è ancora molto lungo. Tutti sostengono, tra l’altro che la schwa sia un artificio non pronunciabile: «Il suono è quello di una vocale intermedia, e gli effetti, se non fossero drammatici, apparirebbero involontariamente comici».

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