Non ci saranno provvedimenti disciplinari nei confronti degli ufficiali e degli agenti di polizia israeliani incaricati di mantenere l’ordine a Gerusalemme durante i funerali di Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese di Al Jazeera uccisa l’11 maggio a Jenin, in Cisgiordania, durante uno scontro tra miliziani palestinesi ed esercito israeliano. La polizia israeliana aveva aperto un’inchiesta sulle cariche degli agenti al corteo funebre, a causa delle quali la bara della reporter era stata fatta quasi cadere. Gli agenti avevano caricato la folla che sventolava la bandiera palestinese, colpendo i partecipanti con manganellate, calci e granate.
Le indagini avrebbero dovuto chiarire gli eventi che hanno portato la polizia ad attaccare le persone che partecipavano al funerale. Il capo della polizia ha deciso di non rendere noto il contenuto dei documenti contenenti i dettagli delle indagini. Secondo le indiscrezioni sul dossier raccolte da Haaretz e dalla televisione pubblica Kan, sarebbero emerse diverse carenze nei preparativi condotti dai vertici della polizia alla vigilia del funerale della giornalista.
Malgrado ciò, secondo quanto reso noto dall’emittente Kan, gli agenti coinvolti non verranno sanzionati, perché secondo la polizia israeliana il loro comportamento sarebbe stato in linea con «l’atmosfera violenta che si era creata prima del corteo funebre». «Ovviamente le immagini emerse sono state spiacevoli e avrebbero potuto essere diverse, ma nel complesso la polizia ha agito bene in una situazione complessa e violenta», ha dichiarato un alto ufficiale di polizia ad Haaretz.
Anton Akleh, fratello della giornalista uccisa, ha definito «illogiche e false» le dichiarazioni della polizia israeliana. A inchiesta chiusa ha detto: «Non ci interessa cosa dice o fa Israele, dalle immagini e dai video è tutto chiaro: la polizia ha aggredito le persone, stanno cercando di nascondere le loro azioni e i loro errori». La polizia israeliana si è rifiutata di rilasciare commenti sulla chiusura delle indagini.
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