«Mitomane non è diffamazione». Renzi perde la causa contro Travaglio. Il leader di Iv aveva chiesto un risarcimento da 500 mila euro

Tutto nasce da una puntata di Otto e Mezzo del 2020. Oggi i giudici hanno deciso che si è trattato di «sarcasmo» e non di diffamazione

«Mitomane» non è diffamazione. Così ha deciso il Tribunale di Firenze, che ha rigettato la richiesta da parte di Matteo Renzi di un risarcimento da 500 mila euro a Marco Travaglio, il direttore del Fatto Quotidiano. Tutto era nato da una puntata di Otto e Mezzo, programma de La7 condotto da Lilli Gruber, del 20 febbraio 2020. Quel giorno, in un titolo del Fatto, Renzi veniva definito un «mitomane». Così la sera, la conduttrice ha chiesto chiarimenti a Travaglio. Il giornalista aveva risposto: «La sua è una forma di mitomania molesta che, probabilmente, risale a fattori pre-politici che andrebbero studiati da specialisti clinici. Probabilmente vuole farci pagare colpe ataviche, non so se lo prendevano in giro da bambino, non so se vuole farci pagare il fatto che gli italiani non lo hanno capito e lo hanno bocciato più volte, che il mondo non comprende il suo genio». Renzi ha così intentato una causa per diffamazione a novembre 2021, che oggi ha dato ragione a Travaglio.


Le motivazioni della sentenza

La sentenza di ieri, 17 agosto, ha dichiarato che nelle frasi del direttore del Fatto «non si riscontrano ingiurie, contumelie od epiteti scurrili né affermazioni che aggrediscano in termini universalmente oltraggiosi il patrimonio morale». A riportarlo è proprio il Fatto Quotidiano. E ancora: «Si tratta di un attacco politico non personale e che quindi va ricondotto nell’alveo della critica politica». Inoltre, Renzi puntava sul potenziale diffamatorio della singola parola, mentre il giudice ha valutato il termine nel contesto: «Nell’economia dell’intero discorso la “mitomania” è la causa e, quindi, la spiegazione della condotta politica di Renzi: in chiave sarcastica, è presentata come l’unica spiegazione possibile delle condotte descritte». Non solo. La sentenza del Tribunale ha sottolineato come gli attacchi di Travaglio non siano stati lesivi della reputazione di Renzi anche perché «non avevano alcuna pretesa di veridicità. Non lo disse con l’intento di convincere qualcuno circa il fondamento delle espressioni pronunciate, ma al solo fine di ironizzare sulle condotte e sulla figura di Renzi».


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