La vittoria di due madri contro il decreto Salvini: niente «padre» nella carta d’identità della figlia

Il tribunale di Roma accoglie il ricorso. Il Viminale dovrà correggere i documenti

Il 31 gennaio 2019 un decreto dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva imposto alle coppie omosessuali di identificarsi come «padre» e «madre». Il Capitano lo aveva annunciato disinteressandosi dei pareri opposti del garante della privacy e dei comuni. «Utero in affitto e orrori simili assolutamente no. Difenderemo la famiglia naturale fondata sull’unione tra un uomo e una donna», aveva detto il leader della Lega. Il tribunale di Roma ha accolto il ricorso di due donne italiane. Imponendo al Viminale di emettere una nuova carta d’identità. E ordinando anche di modificare il software se necessario. La storia la racconta oggi La Stampa e le protagoniste sono Sonia, la madre biologica di una bambina concepita in Grecia con la fecondazione artificiale e nata in Italia, e la sua compagna. Una vicenda che ha portato in serata Palazzo Chigi a intervenire promettendo che la situazione verrà ulteriormente valutata visto che potrebbe portare «problemi di identificazione».


La sentenza su mamma e papà

La causa civile è stata promossa da Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno. Gli avvocati Vincenzo Miri e Federica Tempori avevano denunciato la violazione di una decina di norme internazionali. Tra cui quella che garantisce il rispetto della vita privata e familiare. Il ministero, tramite l’Avvocatura dello Stato, ne aveva difeso la conformità a «fondamentali e insuperabili» principi repubblicani di ordine pubblico. Tra cui quello che «intende la filiazione esclusivamente quale discendenza da persone di sesso diverso». Il giudice Francesco Crisafulli ha fatto a pezzi le argomentazioni del Viminale nella sentenza. Puntando sulla «falsa rappresentazione del ruolo di una delle due genitrici, in evidente contrasto con la sua identità sessuale e di genere, comporta conseguenze rilevanti sul rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione». Secondo il giudice «la soluzione della questione dovrebbe risultare di immediata percezione». Inoltre i funzionari dell’anagrafe avrebbero commesso falsi in atto pubblico «poiché un documento che indichi una delle due donne come “padre” contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà». Crisafulli ha anche specificato che il diritto «alla corretta rappresentazione familiare» non spetta solo alle madri, ma anche alla bambina».


La regola da cambiare

Ma la sentenza non vale per tutti. Il decreto rimane comunque in vigore. Le associazioni hanno rivolto appello al governo Conte II e a Draghi per cambiarlo prima della sentenza. Ora ad annullarlo dovrebbe essere Matteo Piantedosi. Ovvero il capo di gabinetto dell’allora ministro Salvini. La madre biologica Sonia dice che la bambina «è cresciuta con la consapevolezza di avere due madri. Le abbiamo spiegato che ci siamo fatte donare un semino che normalmente viene da un papà, ma in questo caso lei è nata dal nostro amore». E ora «siamo felici. Per noi e per tutti quelli che vogliono battersi in un tempo in cui la tutela dei diritti diventa più nebulosa».

La replica di Palazzo Chigi

Fonti di Palazzo Chigi intervengono nel merito e riferiscono che l’ordinanza del Tribunale civile di Roma sulla qualifica di genitore nella carta di identità elettronica risale al 9 settembre 2022 e non è stata impugnata dal Ministero dell’Interno. Inoltre, precisano che la decisione sarà sottoposta e esame dal Governo «con particolare attenzione» perché presenta «evidenti problemi di esecuzione e mette a rischio il sistema di identificazione personale».

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