Pensioni, cosa succede con la Legge di Bilancio: aumento delle minime e Quota 103 per l’uscita

Confermata Ape Sociale e bonus Maroni per chi vuole continuare a lavorare. Cambia Opzione Donna

L’importo delle pensioni minime sale per due milioni di percettori. E arriva Quota 103, ovvero la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi e almeno 62 anni di età. Mentre cambia Opzione Donna: dal 2023 sarà possibile andare in pensione con 35 anni di contributi ma con almeno 60 anni di età. Le lavoratrici con un figlio usciranno a 59, chi ne ha due uscirà a 58. Ma sempre con il ricalcolo dell’assegno che arriva a tagliare il 30% del contributo finale. Confermata anche l’Ape Sociale per i lavori usuranti. Così come il bonus Maroni per chi vuole rimanere a lavorare: avrà una decontribuzione del 10%. Ma la Legge di Bilancio del governo Meloni ha finanziato queste norme attraverso il taglio dell’adeguamento all’inflazione dei pensionati più ricchi. Ovvero quelli che ricevono più di 2.100 euro al mese.


La manovra e l’età pensionabile

Il Ddl di Bilancio prevede lo stop della legge Fornero e l’avvio di un nuovo schema di anticipo pensionistico per il 2023 che consentirà di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica (Quota 103). Dovrebbe interessare una platea di 45-50 mila pensionandi. Per chi decide di restare al lavoro viene invece rifinanziato il bonus Maroni che prevede una decontribuzione del 10%. Opzione Donna, che è riservata a categorie come caregiver, lavori gravosi e disabili, permetterà di andare in pensione a 58 con due figli o più, 59 con un figlio, 60 negli altri casi. L’Ape Sociale invece si applicherà a disoccupati con più di 30 anni di contributi alle spalle, a chi assiste un parente disabile e ai lavori gravosi. Come le insegnanti delle scuole materne e della scuola primaria, i tecnici della salute, gli operai che fanno lavori usuranti.


L’aumento delle pensioni minime a 570 euro

L’Ape è un assegno da 1.300 euro lordi al mese che viene pagato per 12 mensilità finché non si raggiunge l’età della pensione. Il governo ha promesso una riforma strutturale per l’anno prossimo. L’obiettivo è di mandare in pensione con 41 anni di contributi. L’aumento delle pensioni minime riguarderà tra i 2 e i 2,5 milioni di pensionati. La Stampa spiega oggi che il loro reddito pensionistico lordo annuo è pari a 3.791 euro, ovvero 291,6 euro al mese. L’assegno minimo nel 2022 è di 524,35 euro per 13 mensilità. A partire dal prossimo anno sarebbe salito di 38 euro e avrebbe raggiunto quota 562 a causa del recupero dell’inflazione. Il governo aggiunge una quota in più avvicinando le pensioni minime al tetto dei 600 euro con una indicizzazione pari al 120% rispetto all’inflazione.

Il taglio del ricalcolo dell’inflazione

In più, spiega sempre il quotidiano, chi ha la pensione minima potrà cumulare la nuova Social Card destinata ai meno abbienti con un reddito inferiore ai 20 mila euro annui. La carta per gli acquisti di beni di prima necessità è oggi appannaggio di over 65 e bambini sotto i 3 anni con particolari requisiti. Sarà distribuita dai Comuni, come già avviene. Il ricalcolo dell’inflazione prevedeva invece una rivalutazione degli importi per tutti i pensionati pari al 7,3%. Sino a 2.100 euro di pensione rimarrà pieno. A partire da quella soglia l’esecutivo potrà ridurre dal 75% al 50% gli aumenti destinati alle pensioni superiori a cinque volte il minimo. Tagliando invece la perequazione per gli importi tra i 2.097 e i 2.621 euro si avrebbero risparmi raddoppiati.

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