da Strasburgo – «Daremo una scossa all’Europarlamento». È questa la promessa della presidente Roberta Metsola che, nel discorso che ha aperto la sessione plenaria di Strasburgo, ha condannato il presunto tentativo di corruzione di alcuni eurodeputati da parte del Qatar per influenzare le decisioni dell’istituzione europea. Un’indagine cominciata a luglio ma venuta alla luce venerdì 9 dicembre con l’arresto di quattro esponenti di spicco dell’Europarlamento, tra cui una delle vicepresidenti, la greca Eva Kaili, e l’italiano Antonio Panzeri, ex eurodeputato per i gruppi di sinistra. Metsola si è impegnata per l’avvio di un processo di riforma all’interno del Parlamento, con l’obiettivo di aumentare la trasparenza di un’istituzione percepita troppo spesso come opaca e complicata. Al punto che sono in tanti – dentro e fuori i corridoi di Strasburgo – a denunciare come la capacità di penetrazione di influenze straniere sia insita nella struttura stessa del Parlamento europeo. Le motivazioni le abbiamo chieste a Shari Hinds del Transparency International EU, organizzazione internazionale non governativa specializzata nel contrasto alla corruzione con sede in Belgio che da anni tiene sotto esame le istituzioni europee.
Cosa rende il Parlamento europeo un’istituzione con alti margini di corruttibilità?
«Il Parlamento è formato dagli europarlamentari eletti e dai loro assistenti e dal loro staff. Per quanto riguarda gli europarlamentari, hanno regole specifiche di condotta che però vengono decise dai parlamentari stessi. Lo stesso vale per i membri dello staff: se è vero che esiste un regolamento per il personale su etica e trasparenza, valido per tutte le persone che lavorano nelle istituzioni europee, questo è deciso e monitorato dagli eletti. Lo stesso vale per il codice di condotta dei parlamentari: è deciso dal Bureau del Parlamento europeo. E da chi è composto il Bureau? Dai parlamentari stessi. Ci ritroviamo davanti a un classico problema di “self-policing”, una sorta di auto-regolamento».
Cosa implica?
«Quando le regole non vengono rispettate, non c’è nessuno che monitora sul serio. Ci sono delle sanzioni certo, ma sono molto blande. E vengono decise dal presidente del Parlamento europeo».
Esiste anche un comitato consultivo della condotta dei deputati.
«Si occupa del codice di condotta, ma sono sempre “colleghi” a vigilare. Noi lo definiamo un organo “senza denti”: non ha poteri, le sanzioni non sono effettive e il monitoraggio è problematico. Attualmente il controllo arriva solo solo quando lo scandalo è già scoppiato».
Chi potrebbe esercitarlo prima e meglio?
«Noi chiediamo l’istituzione di un organo terzo. Il Parlamento europeo nel settembre 2021 ha proposto la creazione di un organismo europeo indipendente responsabile delle questioni di etica. Questa proposta è nelle mani della Commissione che però non ha fatto ancora la sua proposta all’aula. Noi stiamo chiedendo di dare a questo organo poteri effettivi di controllo, monitoraggio e investigazione, e sanzioni».
Come è stata accolta la proposta dal Parlamento?
«In modo abbastanza positivo: 377 voti in favore, 87 contro e 224 astensioni. Ma sempre con la stessa preoccupazione: gli europarlamentari non vogliono un organismo esterno. Vogliono che sia sempre il Parlamento a decidere sulle sanzioni».
Parliamo di come vengono regolati i rapporti con i lobbysti.
«Le lobby sono un piccolo pezzo di un problema più grande che è la mancanza di cultura dell’etica. Qui vige la regola in base alla quale solamente i capi delle commissioni parlamentari e i relatori di uno specifico progetto di legge hanno l’obbligo di pubblicare i resoconti dei loro incontri con lobbysti. Non è difficile immaginare che i loro target legali e no siano molto più vasti: riguardano gli assistenti parlamentari, i policy advisor… Ecco noi chiediamo che tutti debbano pubblicare i report degli incontri che fanno».
Al momento dove avviene la “denuncia”?
«Esiste il registro di trasparenza per i lobbysti, dove le varie organizzazioni che vogliono esercitare pressione sull’istituzione Ue devono dichiarare le loro intenzioni. Ad esempio quanti soldi hanno intenzione di investire. Se vuoi ottenere il badge di lobbysta per il Parlamento europeo, devi essere registrato. Al momento ci sono 27mila lobbisti registrati, ma tutti gli altri hanno mille modi per entrare».
Un quarto degli europarlamentari ha anche altri lavori, mentre sono molti coloro che, finita l’attività politica, si ritrovano a vestire i panni di consulenti per aziende e Paesi stranieri.
«Noi lo definiamo il problema delle “porte girevoli”: persone che lavoravano per l’Europa e poi vanno a finire nel registro. Quando un europarlamentare lascia, dovrebbe fare la dichiarazione di post mandato, dichiarando le sue intenzioni per il futuro, lobbying compreso. Ma è del tutto volontaria. Il risultato è che nel 2020-2021 dei 92 parlamentari che hanno lasciato, solo uno ha fatto la richiesta post mandato».
Cosa pensa dello scandalo in corso?
«Ciò che è capitato è legato alla scarsa cultura di etica e trasparenza delle istituzioni europee. Queste cose capitano in un sistema con pochi limiti. Se un sistema ha limiti, controlli e sanzioni c’è meno volontà di corromperle».
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