Tre voti a vuoto nella prima giornata, quella di martedì 3 gennaio; altri tre con lo stesso esito nella seconda di mercoledì 4. La Camera degli Stati Uniti, rinnovata a novembre con le elezioni di mid-term, è bloccata in uno stallo politico-istituzionale che non si vedeva da un secolo. Kevin McCarthy, il candidato ufficiale del partito repubblicano a guidare l’aula di Washington, continua a scontrarsi contro una ridotta ma strenua minoranza interna, oltre che con l’opposizione in blocco dei Democratici. E per la sesta volta fallisce l’obiettivo. Mentre gli esponenti del partito di Joe Biden fanno confluire compattamente i loro voti sul candidato di bandiera, Hakim Jeffries, lo scontro interno ai Repubblicani emerge in modo deflagrante, e umiliante per McCarthy. In tutte e tre votazioni di mercoledì, il deputato californiano ha raccolto 201 voti, mentre 20 sono andati al candidato minoritario indicato dalla destra del partito, Byron Donalds. Con Jeffries fermo a 212, nessun candidato ha dunque i numeri sufficienti – l’asticella della maggioranza è a quota 218 voti – per conquistare lo scranno di speaker della Camera, e rendere l’istituzione politicamente funzionante nella nuova legislatura. Dopo la sesta votazione infruttuosa, i lavori sono stati sospesi ed aggiornati alle ore 20 di Washington (le 2 di notte in Italia). Un time out nel quale i Repubblicani cercheranno di trovare un difficile accordo, fin qui mancato. A nulla è valso infatti l’appello di Donald Trump. L’ex presidente Usa aveva rotto il silenzio in apertura della seconda giornata di voto, invitando sul suo social Truth a votare Kevin McCarthy. «È giunto il tempo per tutti grandi membri repubblicani della Camera di votare per Kevin, chiudere l’accordo, vincere e guardare Nancy Pelosi tornare a casa nella malandata California: l’unica speaker della Camera che ha perso due volte il posto». Poi l’appello al partito: «Repubblicani, non trasformate un grande trionfo in una enorme e imbarazzante sconfitta»

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