Le teorie del complotto sull’arresto di Matteo Messina Denaro: «Tutto falso, ecco come l’abbiamo preso»

Il comandante dei carabinieri Teo Luzi: lo abbiamo sempre cercato in Sicilia. Decisivi gli screening sanitari

Sulla carta d’identità di Andrea Bonafede è tutto chiarissimo. Nato a Campobello di Mazara in provincia di Trapani il 23 ottobre del 1963, di professione geometra, statura 1,78, niente capelli e occhi castani. Segni particolari: nessuno. A parte, naturalmente, che quell’uomo che ha subito due operazioni e due cicli di chemioterapia in realtà era Matteo Messina Denaro. Il timbro autentico del comune sul documento è un dettaglio che svela quello che già tutti sanno. Ovvero che l’ultimo dei Corleonesi ha goduto di coperture e complicità in trenta anni di latitanza. A livelli alti, visto che i Ros hanno chiamato in causa la borghesia siciliana. E poi c’è  la «profezia» di Salvatore Baiardo. Che in un’intervista aveva detto che Messina Denaro era molto malato e avrebbe potuto decidere di costituirsi in cambio di protezione.


L’indagine sui malati di tumore

Teo Luzi, comandante generale dei carabinieri, ci tiene però a fugare ogni dubbio. E in un’intervista al Corriere della Sera ribadisce quanto affermato ieri anche dalla premier Giorgia Meloni. Ovvero che dietro l’arresto di Messina Denaro non c’è alcun complotto. E soprattutto nessuna trattativa con lui o con altri capi mafia. «Nell’ultimo mese avevamo capito che il cerchio si stava stringendo. E sapevamo che ogni momento poteva essere quello buono. Negli ultimi giorni eravamo più consapevoli, ma la storia ci ha insegnato che nulla è scontato soprattutto quando si tratta di un capomafia». Luzi rivela che da tempo i Ros effettuavano screening su cliniche private e strutture pubbliche. E tenevano d’occhio i fiancheggiatori che gli davano copertura. In attesa dell’opportunità di un arresto: «Non ci sono trattative o misteri dietro».


La ricerca in Sicilia

Luzi spiega che le ricerche dei carabinieri si sono sempre concentrate in Sicilia. «Eravamo pienamente consapevoli di dover trovare un buco nella rete di protezione del capo. Ma è bene sapere che si tratta di una rete stretta e non facilmente penetrabile. Dopo la cattura tutto sembra semplice. Io posso dire che noi l’abbiamo preso. Ma c’è stato un gioco di squadra con la polizia e con i magistrati che alla fine si è rivelato vincente. È il metodo di dalla Chiesa». Per questo «non ci sono misteri, né segreti inconfessabili. Abbiamo indagato per anni e anni e abbiamo lavorato per fargli terra bruciata intorno. Fino a questo risultato straordinario che deve essere dedicato a tutte le vittime di mafia».

Foto copertina da: Corriere della Sera

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