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L’amico di Matteo Messina Denaro: «Non rinnego il mio affetto per Iddu. E quei gioielli sono miei»

20 Gennaio 2023 - 06:32 Redazione
giovanni risalvato terzo covo matteo messina denaro
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Giovanni Risalvato è il fratello del proprietario del secondo presunto covo del Boss. E oggi parla del giovane Matteo, giocatore di poker e «rispettoso con tutti»

Giovanni Risalvato è il fratello di Errico. Ovvero il proprietario della casa considerata il secondo covo di Matteo Messina Denaro. E dove è stato ritrovato il bunker con gioielli e pietre preziose. Ma anche tante scatole vuote. Tanto da far venire agli inquirenti il sospetto che sia stato ripulito. Anche se il comandante dei Ros Pasquale Angelosanto, che ha catturato l’ultimo dei Corleonesi, per ora è molto cauto sull’ipotesi. Risalvato, a differenza della figlia e del nipote, non ha alcuna intenzione di rinnegare l’amicizia con il boss. Il 69enne detto Vanni «Pruvulazzu» (ovvero “La polvere”) vive a Castelvetrano. La sua casa è a pochi metri da quella di Antonio Vaccarino, l’ex sindaco del paese che si scambiava messaggi con Messina Denaro.

Le barzellette di Pruvulazzu

Vanni Pruvulazzu oggi parla con il Corriere della Sera della sua amicizia con il boss. Ma prima avverte l’inviato Giovanni Caccia: «Io so raccontare bene le barzellette. Le faccio quasi diventare realtà». Condannato in via definitiva a 14 anni e mezzo per associazione mafiosa, Giovanni Risalvato è uscito dal carcere a dicembre 2021. Ma ancora oggi è un sorvegliato speciale: va a firmare in caserma a Castelvetrano due volte al giorno. E nega che la sua casa sia stata a disposizione dell’ultimo padrino: «Macché. Non troveranno tracce lì dentro di Messina Denaro. Solo canne da pesca e trofei di pesca per la passione di mio fratello Errico. E poi qualche vecchio paiolo con cui i genitori di Totuccia mia cognata facevano la ricotta. E i gioielli sì che ci stanno, ma sono di famiglia, regali di fidanzamento, regali del matrimonio di Errico e Totuccia, collane di Nicoletta mia nipote. Hanno fatto una stanza blindata per paura dei rapinatori. Qualche anno fa a un altro mio nipote Salvatore e a sua moglie ignoti entrarono in casa e li massacrarono. Portarono via tutto. Io comunque con mio fratello Errico non ci parlo da 11 anni, perché non è mai venuto una volta a trovarmi in carcere».

Messina Denaro: giocatore di poker «rispettoso con tutti»

Sembra curioso che un rapinatore si azzardi a entrare nella casa di un conoscente di Messina Denaro in Sicilia. Ma Pruvulazzu tiene il punto. Quando il giornalista gli chiede dell’intercettazione in cui auspicava di fumarsi un pacchetto di sigarette con lui, spiega: «Sì che me ne ricordo, ma la stecca… esageravo, era una millanteria». Poi apre l’album dei ricordi: «Eravamo giovani, dicembre 1991, gennaio 1992. Lo accompagnavo a giocare a poker e a ramino in circolo. E fumavamo insieme, è vero. Ma mica così tanto. Lui era educato, rispettoso, gentile con tutti». Dice che non c’entra con i gruppi di fuoco. Ma un amico da quelle parti rimane sempre un amico: «Certo, io non la rinnego mica la mia amicizia per lui, l’affettuosità. Le amicizie che risalgono all’infanzia sono quelle che non si dimenticano. Le altre invece si scordano sempre. Noi due fino al 1968, fino al terremoto del Belice, eravamo vicini di casa in via Rossini. Poi la nostra casa rimase danneggiata e fummo costretti a trasferirci. Avevo 14 anni. Ma poi con Iddu non ho fatto niente».

Gli affari con il calcestruzzo e il consiglio di pentirsi

Anche se c’è quella faccenda del calcestruzzo: «Avevo un’impresa edile che non ha mai lavorato. Se avessi avuto alle spalle Messina Denaro quell’impresa avrebbe volato, che ne dice? Gestivo l’impresa di un altro, in realtà, prendevo lo stipendio e una percentuale sulla produzione, nient’altro. Mi hanno vestito con gioielli e bracciali, dipinto come chissà cosa, ma io sono sempre stato solo un operaio». E ricorda che si è fatto “12 anni di branda” ma da quando Messina Denaro divenne latitante non l’ha più visto: «Mi hanno condannato per una millanteria». Però al suo amico d’infanzia ha qualcosa da dire: «Prima o poi tutti dobbiamo morire», esordisce riferendosi al tumore al colon che ha contribuito, secondo alcune teorie, all’abbassamento dell’autosorveglianza che ha favorito l’arresto. Poi, a sorpresa, gli consiglia di vuotare il sacco: «Io spero solo che lui si faccia prima un esame di coscienza e poi collabori. Che dica la verità, per il bene di tutti. Anche il nostro».

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