«Aumentare gli stipendi degli insegnanti del Nord? Meglio fare affitti scontati. Ma soprattutto vanno formati meglio» – L’intervista

«Oltre ad aumentare il numero dei docenti bisogna migliorarne la formazione», dice a Open l’economista Paola Parravicini

Il mondo della scuola è in subbuglio per le parole del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ieri, alla piattaforma di dialogo promossa da PwC e dal gruppo Gedi “Italia 2023: persone, lavoro, impresa”, ha proposto stipendi più alti per i professori, ma soprattutto una differenziazione tra quelli di chi insegna al Nord e chi al Sud. «Chi vive e lavora in una regione d’Italia in cui più alto è il costo della vita potrebbe guadagnare di più», ha dichiarato il ministro proponendo una potenziale soluzione alla carenza di insegnanti che affligge le regioni del Settentrione. Un’idea che non è stata ben accolta dal sindaco di Napoli ed ex ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi: «Esiste già un grande trasferimento da Sud a Nord, da anni si sale per cercare lavoro. Se si dovessero pagare di più i professori che lavorano sopra l’Emilia, si renderebbe il Meridione un deserto». Sulla questione, «è sbagliato sollevare gli scudi», spiega la professoressa di Economia della Statale di Milano Paola Parravicini a Open: «I timori di Manfredi sono legittimi ed è proprio per questo che l’idea da forte che è può essere smussata puntanto sugli incentivi fiscali». 


La differenza nell’affitto come sgravio fiscale

Parravicini – che da anni si occupa di scuola e all’università tiene un corso in Didattica del Diritto e dell’Economia – invece dell’aumento diretto sullo stipendio, propone come possibile soluzione «uno sgravio fiscale». «Una delle grosse differenze tra le grandi città del Nord e quelle del Sud è il prezzo dell’affitto», spiega l’esperta. «Per ovviare al problema si potrebbe dare agli insegnanti uno sgravio fiscale pari alla differenza tra gli affitti – ad esempio – di Milano e di Caserta». «In questo modo – continua la docente – si ridurrebbe il rischio di abbandono del Meridione temuto da Manfredi».


La deprofessionalizzazione dell’insegnamento

Ma oltre ad attrarre gli insegnanti con forme di vantaggi economici, spiega Parravicini, il ministero dovrebbe occuparsi di quanto e come questi sono formati. E quanto sono in grado di trasmettere sapere agli studenti, specie nelle materie più ostiche. Negli anni, infatti, la carenza di docenti di ruolo che colpisce in maniera particolarmente dura le regioni del Nord è stata coperta anche da persone che non si sono formate per fare questo lavoro, che grazie alle Messe a Disposizione (Mad) hanno ottenuto le cattedre, seppur da supplenti, anche quando non avevano le qualifiche che sarebbero necessarie a diventare docenti di ruolo. Ne è un esempio la storia di Matteo, che a 22 anni, quando ancora doveva laurearsi in triennale, ha insegnato matematica per un anno in un istituto tecnico del Milanese. Un caso estremo di un trend che – spiega Parravicini – si è diffuso con la crisi del 2008: «A partire dalla crisi finanziaria c’è stata una deprofessionalizzazione dell’insegnamento. Molte persone hanno perso il posto di lavoro e hanno visto la scuola come uno sbocco professionale di ripiego, magari non altamente retribuito, ma sicuro». «Chi fino a un mese prima faceva l’architetto è andato a insegnare. D’altro canto, al posto loro, cosa avremmo fatto?», puntualizza Parravicini. 

I tirocini e le abilità sociali e psicopedagogiche

Molte sono le proposte arrivate al ministero dell’Istruzione in vista del Dpcm che completerà il processo di introduzione dei 60 Cfu (Crediti Formativi Universitari, misurano il peso di ciascun esame nei libretti universitari. 1 Cfu equivale a 25 ore di studio) necessari alla formazione degli insegnanti della scuola secondaria. «Quando bastavano i 24 Cfu, c’era chi entrava in classe senza aver fatto una sola ora di lezione. E a insegnare non si impara per osmosi attraverso ciò che si apprende in un corso universitario. Si impara insegnando sul campo. Nella Costituzione si legge che la scuola è aperta a tutti. Ma ciò può essere vero solo se tutti possono arrivare in alto. Vuol dire che gli studenti devono avere diritto a insegnanti preparati che, oltre a competenze disciplinari solide e aggiornate, abbiano abilità e competenze psicologiche, sociali e pedagogiche, anche attraverso un adeguato tirocinio», continua Parravicini. 

I disturbi dell’apprendimento

E in effetti, secondo quanto stabilito dal Decreto 36/2022, convertito nella Legge 29 giugno 2022, almeno 20 dei Cfu dovranno essere dedicati a tirocini in classe. «Si parla di formare la professionalità dell’insegnante valutandone tutti gli aspetti, non solo quelli di didattica disciplinare», spiega Parravicini, che sottolinea come vi debba essere una valutazione ampia e trasversale delle competenze. Inoltre, aggiunge Parravicini «un docente dovrebbe sapere come gestire i ragazzi e le ragazze che soffrono di disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa)» come la dislessia e la discalculia. Per loro, al momento, non sono previsti insegnanti di sostegno. «Tutti i docenti dovrebbero avere delle competenze sui Dsa che altrimenti rischiano di fare aumentare il numero di coloro che abbandonano la scuola», conclude Parravicini. 

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