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Ucraina, i tank occidentali possono davvero cambiare gli equilibri della guerra? – L’intervista all’ex capo di stato maggiore Camporini

27 Gennaio 2023 - 16:59 Alessandra Mancini
I mezzi dei Paesi Nato hanno dimostrato superiorità tecnologica rispetto a quelli russi, dice a Open il generale. Ma tutto lascia prevedere un'offensiva di primavera di Mosca

Undici mesi di una guerra che «durerà ancora a lungo». Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica militare, dice a Open di non essere ottimista sul termine del conflitto generato dall’invasione russa in Ucraina, nonostante siano cadute le resistenze sull’invio dei tank, americani e tedeschi, a Kiev. La decisione presa da Stati Uniti e Germania di fornire carri armati all’Ucraina è arrivata dopo lunghe reticenze. Più di tutti ad aver temporeggiato è stato il cancelliere Olaf Scholz, tormentato dal fantasma dei Panzer per il pesante passato tedesco. Ma anche dal rapporto controverso con Mosca. Insomma, «sì sostegno all’Ucraina, ma nessuna escalation nel conflitto», ha detto mercoledì il cancelliere al Bundestag. Anche gli Stati Uniti hanno dato il via libera, mercoledì 25 gennaio, ai loro 31 carri armati da combattimento di tipo M1 Abrams all’Ucraina che, insieme ai 14 Leopard tedeschi e a quelli degli altri Paesi (per un totale di 80, secondo Der Spiegel), potrebbero cambiare le sorti del conflitto in atto ormai da undici mesi. È davvero così? «Dipende dalla quantità» dei carri armati che entreranno in Ucraina, spiega Camporini. «Ne servono molti di più. La disponibilità di questi carri armati c’è ma sono frazionati tra i vari Paesi, come Spagna, Polonia, la stessa Germania. Quindi, in questo senso ci vuole uno sforzo che sia, per certi versi, corale. In più, bisogna verificare di persona quanto differiscono, in termini di materiale, i singoli carri armati dei diversi Paesi. Ovvero, l’eterogeneità del materiale» tra Challenger inglesi, Leopard tedeschi e Leclerc francesi.

I tank: come, quali, quanti

Riguardo ai numeri effettivi dei veicoli da combattimento, ricorda l’Economist, gli Usa hanno annunciato l’invio in Ucraina degli oltre 100 veicoli cingolati Bradley (impiegati in Iraq), 90 veicoli gommati Stryker (utilizzati anche in Afghanistan), 100 veicoli corazzati per il trasporto delle truppe e molto altro ancora. Una crescita esponenziale di corazzati moderni in mano a Kiev che attende, inoltre, i Challenger 2 britannici costruiti negli anni ‘90, gli Amx-10 francesi, i CV-90 svedesi e infine i Leopard europei e i 31 M1 Abrams. Il tutto per armare le brigate ucraine che potranno, così, utilizzarli insieme (o in sostituzione) ai loro carri armati di epoca sovietica, provenienti dalle scorte pre-belliche, oltre a quelli rimessi in funzione e forniti dai Paesi orientali e, non da ultimo, ai molti che hanno sottratto alla Russia. Di carri armati Leopard 2 di produzione tedesca con motore a diesel e che richiedono munizioni Nato ce ne sarebbero, secondo quanto scrive la Cnn, circa 2mila. Diversi Paesi europei, tra cui Finlandia e Polonia, ne avrebbero un gran numero, sebbene alcuni siano tenuti in deposito. Per l’International Institute for Strategic Studies (IISS), la Turchia ne ha più di 300, idem la Spagna. Quello che è certo è che sono di più facile utilizzo rispetto agli Abrams statunitensi con motore a turbina pieni di carburante per aerei.

IISS: Numero di Leopard in ogni Paese

«Il Leopard è un carro armato molto performante, ha una velocità sul terreno elevata, un cannone efficace che può sparare in movimento. Tutte queste – continua Camporini – sono caratteristiche significative per la battaglia. Ma non solo, hanno sistemi informatici di ultima generazione, protezione anti-carro con delle speciali corazze, sistemi di puntamento, calcolo e di comunicazione. È un mezzo che se adeguato nei numeri e impiegato in modo tatticamente corretto, ed esempio a supporto di fanterie e aerei, può fare la differenza nei prossimi mesi sul terreno di battaglia contro le truppe di Mosca». Mentre gli Abrams americani «richiedono un sostegno addestrato complesso e ci vorrà del tempo per dotarne gli ucraini», spiega il generale a Open.

Inoltre, secondo l’Economist, l’invio dei tank americani e dei 14 Challenger britannici potrebbe non essere sufficiente a equipaggiare un intero battaglione: una brigata corazzata britannica dispone di 56 Challenger; una americana combatte con 87 carri armati M1 Abrams. La buona notizia, conferma Camporini, è che quelli che arriveranno in Ucraina sono comunque «superiori rispetto alla maggior parte» dei tank russi. «La tecnologia occidentale – spiega – ha dimostrato di essere qualche passo avanti rispetto a quella russa. Ed è una cosa su cui bisogna continuare a insistere insieme all’impiego coordinato delle risorse». Tuttavia, per il generale Camporini, l’invio dei carri armati da parte della cosiddetta tank coalition di 12 Paesi, non implica un maggior coinvolgimento dell’Alleanza atlantica nel conflitto: «Non più di quanto siamo già coinvolti, non più di quanto abbiamo fatto finora».

Le armi del conflitto e lo spettro di un’offensiva russa in primavera

Se è vero che ogni fase della guerra in Ucraina è stata segnata dall’utilizzo di specifiche armi “simboliche” – i missili anticarro Javelin e quelli di difesa aerea Stinger nella prima, la cosiddetta “battaglia per Kiev”; gli obici da 155 mm nel Donbass e i lanciarazzi Himars durante la controffensiva d’autunno-, quella attuale sembra essere la fase dei tank. Con l’invio dei carri armati, la stagione dei combattimenti «primaverili» potrebbe rivelarsi decisiva per le truppe di Kiev, alle prese con i massicci bombardamenti dell’esercito russo e con lo spettro di una nuova offensiva da parte di Mosca: «Ci sono notizie abbastanza attendibili su una campagna di mobilitazione e addestramento sostanziosa in Russia. Il che significa che l’esercito russo si sta preparando a un assalto di primavera. Il capo di Stato maggiore generale delle forze armate russe Valerij Gerasimov ha parlato infatti di una radicale riorganizzazione dell’esercito», spiega il generale Camporini.

Indiscrezioni confermate anche da Bloomberg, secondo cui il Cremlino intende dimostrare che le sue forze possono riprendere l’iniziativa dopo mesi di perdite di terreno, facendo pressione su Kiev e sui suoi sostenitori affinché accettino una sorta di tregua che lasci alla Russia il controllo dei territori occupati. L’ipotetica offensiva russa, che secondo l’agenzia statunitense potrebbe iniziare prima che Kiev riceva le forniture di carri armati, ha spinto il presidente Volodymyr Zelensky ad alzare il tiro sulla fornitura di armi, chiedendo agli alleati di fornirgli «missili a lungo raggio all’Ucraina, artiglieria e aerei da combattimento». Ma al momento tutto tace: i Paesi della Nato non sono disposti – o almeno, non ancora – a inviare caccia all’Ucraina. Il cancelliere Scholz è stato chiaro: «Non ci saranno consegne di jet da combattimento a Kiev». Chiarimento, questo, arrivato anche da Washington. Il timore è sempre lo stesso: la fornitura di caccia potrebbe produrre un’ulteriore escalation nel conflitto con Mosca che considera sempre di più la Nato come parte belligerante.

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