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I carabinieri e i vigili che vivevano vicino al covo di Matteo Messina Denaro: «Nessuno ci ha voluto ascoltare»

28 Gennaio 2023 - 05:53 Redazione
matteo messina denaro covo carabinieri vigili
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Una segnalazione sul boss a Torretta Granitola rimasta lettera morta. L'agente che dice di averlo incontrato al supermercato. I documenti d'identità nella casa. E quel ritornello: «Dopo, sempre dopo»

Chissà da quanti anni Matteo Messina Denaro girava libero per Campobello di Mazara. Le prime segnalazioni sulla sua presenza a Torretta Granitola risalgono al 2010. E in tutti questi anni pare improbabile se non impossibile che “Francesco”, come si faceva chiamare l’ultimo dei Corleonesi, non abbia incrociato nemmeno un poliziotto sul suo cammino. Nemmeno quando una retata tre mesi dopo il suo trasloco in vicolo San Vito o via Cb/31 portò in galera il boss locale partendo da un bar che si trovava a 95 metri dalla sua abitazione. Pare anche che la videocamera installata all’epoca per le indagini non abbiamo mai inquadrato il boss che usciva da casa sua, nemmeno per un caffè. E oggi arrivano anche i rimpianti di chi lavorava nelle forze dell’ordine a Campobello. Ma anche qualche giallo. Come quello di una segnalazione che risale al novembre 2021. Proprio su ‘U Siccu. Che però è rimasta lettera morta.

La segnalazione del novembre 2021

A raccontare la vicenda è oggi Repubblica. Nel novembre 2021 la locale stazione dei carabinieri fece partire una segnalazione sulla possibile presenza di Messina Denaro a Campobello. Che però nessuno prese seriamente in considerazione. Si tratta di una vicenda ancora sconosciuta ai media. E non si conoscono i termini della segnalazione. Ma chi frequenta i militari della caserma, che si trova ad appena 500 metri dall’ultimo covo del boss, dice che sono arrabbiati e frustrati. Anche il comandante dei vigili urbani Giuliano Panierino ha una sua storia da raccontare. «Non era certo compito mio arrestare Messina Denaro», premette. «Siamo in dieci e ci dobbiamo occupare di viabilità e di controlli amministrativi. C’era mezza Sicilia che lo cercava. Certo, per anni ho sognato di mettergli le manette, mi ero anche preparato il discorso da fargli». Poi racconta: «Pensare che viveva qui come un normale campobellese mi scatena la rabbia. Mi sento preso in giro. Due giorni fa un mio agente era sicuro di averlo incontrato la settimana prima della cattura al supermercato. Stesso giubbotto ma con le ciabatte. Ne era sicuro. Dopo, sempre dopo la cattura».

Dopo, sempre dopo

Il nuovo comandante della stazione dei carabinieri di Campobello Nicolò Adamo è in carica da otto mesi. Nella caserma che si trova al numero civico 133 di viale Risorgimento si racconta che dei 15 carabinieri in servizio molti conoscono il territorio e hanno i loro informatori. La dritta della presenza di Messina Denaro a Torretta Granitola è arrivata più volte anche a loro. «Ma nessuno ci ha voluto ascoltare», dicono oggi. Un’informativa chiamava in causa proprio l’Alfa Romeo Giulietta nera poi sequestrata a Diabolik. «Si faceva chiamare “Francesco” da queste parti. Al pescivendolo si è presentato come un infermiere in pensione, originario della provincia di Palermo con una casa a Triscina e un’eredità lasciata dai parenti», aggiunge Panierino. «Certo, se lo avessi fermato alla guida della Giulietta forse la storia sarebbe cambiata», conclude con amarezza.

I documenti nel covo

Ieri intanto i carabinieri hanno rilasciato un video che mostra il covo di Messina Denaro. Tra le carte del capomafia gli inquirenti hanno trovato documenti di identità contraffatti con i nomi e i dati di persone realmente esistenti. Non è ancora chiaro se i documenti siano stati truccati dallo stesso capomafia o se qualcuno glieli abbia forniti precompilati e lui abbia soltanto apposto la sua foto. Diverse anche sono le fototessere trovate nel nascondiglio del padrino di Castelvetrano. Prima di assumere l’identità del geometra Bonafede, utilizzata a partire almeno dal 2020, quando venne operato di cancro all’ospedale di Mazara del Vallo. Utilizzò il codice fiscale e la carta di identità del suo fiancheggiatore, il boss avrebbe fatto uso dei documenti di altre persone. E con le generalità di altri favoreggiatori avrebbe viaggiato e concluso affari. Piste che gli inquirenti, che stanno tentando di andare a ritroso per ricostruire la latitanza del capomafia, ora approfondiranno.

La casa del boss

Quella dell’ultimo dei Corleonesi a Campobello è una casa pulita e ordinata. Con i quadri alla parete, due leoncini di peluche, uno su un termosifone, l’altro sull’appendi panni, un divano marrone con due cuscini ben sistemati. E un’intera stanza adibita a palestra. Nel salotto una tv, i libri disposti su una mensola, i quadri alle pareti con riproduzioni di dipinti famosi, come i Girasoli di Van Gogh e le foto dei protagonisti del film “Il Padrino” e “Joker”. Nell’ambiente teneva una panca e dei pesi. Nella stessa stanza c’erano l’asse da stiro e decine di scarpe costose sistemate in una scarpiera. E la pistola: una calibro 38 special che ora verrà analizzata. Magari per trovare la risposta a uno dei tanti misteri siciliani.

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