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Chi è John Dougan, il finto giornalista che sfrutta la teoria del complotto del Nord Stream diffusa dal Pulitzer Hersh

20 Febbraio 2023 - 13:20 David Puente
Scappato dagli Stati Uniti, ottenne asilo politico in Russia dove sfruttò l'uccisione di un 27enne democratico per alimentare le teorie del complotto contro i democratici

«Nord Stream, una lettera (con foto e documenti) svela il coinvolgimento degli Usa nell’esplosione del gasdotto russo» è il titolo riportato da Il Messaggero in un articolo del 17 febbraio 2023. La narrazione segue quella del giornalista Seymour Hersh, ma con una fonte diversa e con un “nuovo” protagonista. In questo caso, a parlare di una “lettera” e di “prove” è un altro “giornalista americano” di nome John Dougan. Primo problema: non si tratta di un giornalista, ma di un latitante e truffatore americano. Il suo profilo viene tracciato in un articolo del 17 marzo 2022 di Daily Beast dal titolo American Ex-Cop Goes to Ukraine on Twisted Mission to Vindicate Putin. Il suo nome completo è John Mark Dougan, un ex poliziotto americano scappato in Russia nel 2016 dove ha chiesto e ottenuto asilo politico, diventando nel 2022 uno dei protagonisti della propaganda russa nel corso dell’invasione in Ucraina.

Il racconto

Secondo Il Messaggero, Dougan avrebbe ricevuto il 2 ottobre 2022 una “lettera” da un informatore anonimo con «foto di esercizi e documenti» che sosterrebbero la teoria del sabotaggio di Nord Stream da parte degli Stati Uniti e della Norvegia. Una “lettera” che avrebbe fornito al media russo Ria Novosti (e al media Sputnik), ma con una specifica richiesta: di non pubblicare le foto e i documenti per non rivelare l’identità dell’anonima fonte.

Dougan afferma di fidarsi completamente del contenuto della “lettera”, una mail «ricevuta» da una casella usa e getta, sostenendo che solo chi conosce veramente le esercitazioni BALTOPS22 potrebbe riportarne i dettagli. O Dougan conosceva bene le attività della NATO dello scorso giugno 2022 nel Mar Baltico o trae sicurezza dalle dichiarazioni dell’autore della “lettera” in quanto affermerebbe di averne fatto parte.

Secondo il presunto testimone oculare, il 15 giugno 2022 un gruppo di americani, in abiti civili con barba e baffi, sarebbe sceso da un elicottero con addosso dei rebreather MK-29, alcune piccole scatole e con attrezzature non utilizzate da unità navale convenzionali. Questi ultimi avrebbero partecipato alle esercitazioni della NATO, ma senza recarsi nell’area prestabilita.

Secondo il racconto, dopo un colloquio con il vice ammiraglio della sesta flotta della marina americana – che li avrebbe accolti durante il loro arrivo in elicottero – sarebbero «scomparsi sott’acqua per più di sei ore» per poi tornare senza le scatole. Il presunto autore della mail sostiene che non esiste un’attrezzatura tale che consenta immersioni della durata di sei ore, ma tre o quattro al massimo. Alla fine del lavoro, gli americani sarebbero ripartiti in elicottero.

Le anomalie

Qualcuno sostiene che questa storia confermerebbe quella del giornalista americano Seymour Hersh, ma non è così. Il racconto di quest’ultimo sostiene sarebbe stata una nave norvegese a fornire il supporto navale per il piazzamento dell’esplosivo, nella versione di Dougan riportata da RIA i sommozzatori sarebbero intervenuti a bordo di un gommone.

Per compiere la presunta operazione, i sommozzatori sarebbero dovuti intervenire effettuando diverse immersioni in diverse aree del Mar Baltico. Risulta difficile credere che i sommozzatori siano «scomparsi sott’acqua per più di sei ore» per compiere l’intera operazione considerate le distanze in gioco: tra due i punti danneggiati del Nord Stream c’è una distanza di almeno 80km.

Nella versione del media russo si parla dell’arrivo di un elicottero senza specificare il punto di atterraggio. Questo sarebbe successo a bordo di una nave americana o norvegese? Nell’ultimo caso, le imbarcazioni classe Alta citate da Hersh non consentirebbero tale operazione. In ogni caso, risulterebbe curioso comprendere come un elicottero con dei passeggeri in abiti civili a bordo non sia stato notato dalle forze armate partecipanti durante l’esercitazione NATO.

Come nell’articolo di Hersh, anche il racconto di Dougan riportato da RIA consentirebbe di ridurre il raggio di ricerca della presunta fonte. L’autore della mail avrebbe assistito all’arrivo dei sommozzatori, ma non sarebbe riuscito ad ascoltare i dialogo tra di loro e il vice ammiraglio della sesta flotta della marina americana: questo significa che si trovava a breve distanza da loro? Inoltre, avrebbe assistito a un successivo colloquio tra gli stessi protagonisti prima della partenza del gommone.

Chi è John Mark Dougan

Nel 2009 venne licenziato dalla polizia per molestie sessuali, denunciato da una sua collega per il suo comportamento inappropriati e ripetuti nei confronti delle agenti donne. Oltre a tocchi indesiderati e insulti misogini, la denunciante sosteneva che Dougan «guardava i seni delle donne, si leccava le labbra e diceva ‘umumumum’». La commissione indipendente del Maine confermò le accuse contro l’ex agente, mentre nel gennaio 2013 la causa si concluse in via extragiudiziale.

Il 14 marzo 2016, l’FBI era alla ricerca di un “hacker russo” in un condominio a Palm Beach Gardens, in Florida, colpevole di aver pubblicato online migliaia di indirizzi di casa di agenti federali, giudici, agenti di polizia locale e operatori presso le agenzie di intelligence. Il pirata informatico, che si faceva chiamare “БадВолф” (“BadVolf”) e di essere un dipendente IT del governo russo a Mosca, era in realtà l’ex poliziotto John Mark Dougan.

Foto del 2018.

Nessun “hacker russo”, ma un ex agente ossessionato nel “distruggere” il suo ex datore di lavoro. Dopo l’intervento dell’FBI e del sequestro del suo computer, Dougan decise di fuggire in Russia dove gli venne concesso l’asilo. Una volta installatosi a Mosca, si attribuì un ruolo nel leak delle email del Partito Democratico americano e della campagna di Hillary Clinton del 2016, diventando un mito nelle aree complottiste e filorusse sfruttando la morte di un 27enne ucciso a Washington DC.

Dougan iniziò a sfruttare l’invasione russa in Ucraina amplificando le teorie del complotto favorevoli alla propaganda di Vladimir Putin, partendo in macchina verso i territori occupati con l’intenzione di sostenere l’esistenza dei fantomatici “biolaboratori” finanziati dagli Stati Uniti per sviluppare armi biologiche. L’undici marzo 2022 pubblicò un documento in lingua russa dove sosteneva ci fossero le prove dell’esistenza dei laboratori, finendo poi condiviso nei canali Telegram QAnon come quello di RedPill78, l’ideatore della teoria. Di fatto, Dougan aveva sfruttato una credenza già diffusa alimentandola ancora di più al fine di accrescere la sua fama. Dopo l’articolo di Hersh, la storia si ripete.

La creazione del mito “BadVolf”

Viene descritto come un imbroglione esperto di ingegneria sociale. Dougan divenne un esperto nel creare e pubblicare siti apparentemente credibili, come DCWeekly.com e DCPost.org, riuscendo a rendere virali bufale come quella nei confronti dello sceriffo Ric Bradshaw accusandolo di incoraggiare gli automobilisti a investire gli attivisti di Black Lives Matters. In uno dei siti venne pubblicata una falsa confessione di pedofilia attribuita a un funzionario del dipartimento di polizia.

Facciamo un passo indietro nel 2015, quando utilizzò un software per modificare la sua voce al fine di fingersi una donna di nome “Jessica” e inscenare un flirt telefonico con un ex detective di nome Lewis che lavorava nella Contea di Palm Beach per lo sceriffo Bradshaw. Il movente di tale operazione? Nel 2012 il contractor era stato incaricato dallo sceriffo di indagare su Dougan. Attraverso una sofisticata operazione di ingegneria sociale, scoprì che Lewis aveva ingaggiato un hacker per ottenere le informazioni dai suoi siti e social network. Il passo falso arrivò quando convinse Lewis ad ottenere un servizio da parte dell’hacker. Fu quest’ultimo a scoprire che dietro la fantomatica “Jessica” si celava l’ex agente di polizia proprietario dei siti di fake news sui quali aveva indagato in precedenza.

Le precedenti indagini di Lewis su Dougan si rivelarono più complesse del previsto. L’ex agente, sotto la falsa identità di “Jessica”, venne a conoscenza che l’FBI era in contatto con lo sceriffo proprio sul suo caso. Lewis raccontò che avrebbero potuto arrestarlo nel 2013 con l’accusa di aver fornito informazioni false per la certificazione da pilota della FAA (Federal Aviation Administration) omettendo la sindrome di Tourette. Il mancato arresto, secondo Lewis, riguardava i viaggi di Dougan a Mosca.

Il rapporto con la Russia non iniziò dopo la fuga dagli Stati Uniti nel 2016, ma anni prima per via di una storia d’amore nata online con una donna russa. Per questo motivo, dal febbraio 2013, Dougan si recò diverse volte e per lunghi periodi a Mosca. Ciò che gli investigatori riuscirono a scovare nel profilo Facebook dell’ex agente fu un incontro in un ristorante moscovita con un ex alto funzionario del Cremlino di nome Pavel Borodin, sospettato di essere legato a un gruppo criminale informatico russo.

Dougan registrò tutte le telefonate con Lewis, ma per diffondere gli audio doveva celare la sua identità in quanto aveva di fatto compiuto reato. Fu così che nacque la falsa identità dell’hacker “БадВолф” (“BadVolf”), ispirandosi alla discussione di Lewis sul gruppo criminale informatico russo. Non gli bastò colpire duramente sia Lewis che lo sceriffo Bradshaw, voleva colpire anche altri agenti di polizia, agenti federali e funzionari della contea. Attraverso le sue capacità informatiche, sfruttò un bug di un’impresa di geo-marketing per ottenere i loro indirizzi privati. Estrapolò un elenco di circa 4 mila indirizzi, ma non tutti riguardavano persone coinvolte in qualche modo con il suo caso. Tuttavia, probabilmente stufo, il 13 febbraio 2016 pubblicò sul suo sito un Excel con tutti i dati ottenuti attribuendo la responsabilità all’hacker russo “BadVolf”. Attraverso altre intrusioni, ottenne diversi dati anche dalle liste elettorali dello Stato arrivando a pubblicare oltre 14 mila indirizzi.

Il 14 marzo 2016, gli agenti dell’FBI entrarono nella sua abitazione alla ricerca di informazioni sull’hacker russo che riteneva suo amico. Certo del prossimo risultato delle indagini, Dougan prese l’auto di un suo amico e, con una parrucca in testa, lasciò l’ex moglie e i due figli dirigendosi in solitaria verso il confine canadese. Giunto a Toronto, si imbarcò su un volo per Mosca dove fece richiesta di asilo politico. L’ex poliziotto e “hacker” ottenne lo status in forma temporanea nel febbraio del 2017, per poi renderlo permanente nel dicembre 2018.

Uno dei primi post Facebook di Dougan una volta arrivato a Mosca dopo la fuga dagli Stati Uniti: in prima fila durante una sfilata di moda.

Sempre nel 2018, Dougan pubblicò un libro su “BadVolf”, cambiandone molti particolari della sua vera storia e arrivando ad attribuirsi la responsabilità del leak delle email del Partito Democratico americano e della campagna di Hillary Clinton del 2016. Per rendere il tutto più credibile, affascinante e non verificabile, Dougan attribuì l’identità della sua fonte a Seth Rich, un 27enne che lavorava per lo staff del Comitato Nazionale del Partito Democratico americano ucciso nel luglio del 2016, colpito da un’arma da fuoco in una strada di Washington DC. L’omicidio irrisolto permise a Dougan di alimentare le teorie di complotto sulla morte del 27enne. Il suo libro – così come un film su di lui – venne promosso dal canale televisivo russo RT.

La copertina del libro.

The Daily Beast chiese a Dougan la prova del leak, invitandolo a inviare una copia del contenuto delle email. L’ex agente inviò loro un file zip contenente 743 email, ma nessuna di queste faceva parte del famoso leak pubblicato da WikiLeaks di Julian Assange. Un metodo, quello dei contenuti falsi, già utilizzato anche nel 2020 sostenendo di essere entrato in possesso di un filmato di sicurezza con protagonista Steve Burke, presidente di NBCUniversal, durante un rapporto sessuale con una vittima di Epstein. L’ex agente pubblicò alcuni screenshot per provare la sua “scoperta”, ma si trattava di un video che circolava da anni in diversi siti porno e che non aveva nulla a che fare con Burke. Non mancarono le rettifiche sui siti che condivisero il fantomatico scoop.

Nonostante tutto, fu così che creò un mito del mondo complottista, mentendo nuovamente a tutti sulla sua reale identità. Una figura che venne poi sfruttata dalla propaganda russa, a partire dai media come Sputnik News dove venne pubblicato un articolo sulla sua fuga verso Mosca, prima e durante l’invasione in Ucraina.

Selezionato dalla propaganda russa

La maglietta con la bandiera russa e la tazza di Vladimir Putin con l’augurio di buon compleanno al leader russo. Questa è una delle fotografie che John Mark Dougan pubblica con orgoglio nel suo profilo Vk, il social media russo, dove il primo post risale al 18 aprile 2016. La foto risale al 2021, ma ben presto vennero aggiunti nuovi simboli nel suo vestiario.

Nel 2022, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, è tornato a far parlare di se come il «poliziotto americano con vedute russe». Ecco la foto che lo ritrae con un evidente simbolo di appartenenza, la Z utilizzata dai militari russi in Ucraina.

Il 2 gennaio pubblica sul suo profilo VK un post con l’intervista al sindaco occupante di Mariupol. Per Dougan è stato un «onore» poterlo intervistare, come riporta nella condivisione.

Il 6 dicembre pubblica un altro incontro con un funzionario filorusso presentandolo in questo modo: «Sono contento che il mio amico Yan Gagin, consigliere del capo dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, si sia unito a noi».

La foto pubblicata il 21 novembre 2022 mostrerebbe l’ex poliziotto americano all’interno del teatro di Mariupol, luogo poco accessibile a seguito dell’occupazione russa. Dougan gode di parecchie libertà da parte delle autorità russe, tanto da vantarsi di essere uno dei «giornalisti selezionati» dall’esercito invasore per filmare in luoghi altrimenti inaccessibili ad altri.

Durante l’estate del 2022, Dougan intervistò il prigioniero britannico Aiden Aslin, condannato a morte nella autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk. Durante l’incontro, l’ex poliziotto americano fece cantare l’inno nazionale russo al prigioniero per poi complimentarsi con lui per la performance. La scena venne considerata come un tentativo da parte del britannico affinché fosse tenuto ancora in vita. Aiden, che venne poi rilasciato a seguito di uno scambio di prigionieri nel settembre 2022, raccontò al The Sun di essere stato costretto a imparare e cantare ogni mattina l’inno sotto minaccia da parte delle autorità filorusse. «Trattato peggio di un cane», così descrive il suo periodo di prigionia, rinchiuso in una lurida cella stretta condivisa con altri detenuti dal quale ebbe pochi attimi di “luce solare”: per filmare video di propaganda russa e per rispondere alle chiamate del Ministero degli Esteri.

Uno dei principali obiettivi di Dougan durante il viaggio in Ucraina era quello di provare l’esistenza dei biolaboratori dove gli ucraini, secondo la propaganda russa, avrebbero sviluppato armi biologiche. Come accadde per tutti coloro che si recarono a Mariupol al fine di sostenere la teoria del complotto sull’acciaieria di Azovstal, e nonostante tutta la disponibilità delle autorità russe e filorusse, fu un totale fallimento. Nel frattempo, elogia ed esalta la presenza del gruppo terroristico Wagner tramite i suoi canali.

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