Quella volta in cui Berlinguer invitò Costanzo al Congresso del Pci

La testimonianza degli amici Tullio Camiglieri e Stefano Romita con cui il giornalista ha costruito un pezzo di televisione italiana

Banale? Possibile. Retorico? Forse. Quando muore una persona con cui hai condiviso tanto, viene sempre da dire che un pezzo della tua vita se n’è andato via con lui. Nel nostro caso tuttavia è proprio così. Abbiamo conosciuto, lavorato e vissuto quotidianamente con Maurizio Costanzo, problemi e soluzioni da dare a diversi aspetti dei suoi innumerevoli programmi o iniziative. Dai primi anni del suo arrivo alla Fininvest (ancora non si chiamava Mediaset) negli studi del Centro Palatino di Roma, agli anni Novanta. Consuetudini, pranzi, cene, profili aggiornati e dettagliati sugli ospiti anche all’ultimo minuto, in camerino, dove entrare era un rito concesso a pochi. Alla metà degli anni ottanta gli studi del Palatino erano in condominio con la Gomount Italia, a capo della quale c’era Renzo Rossellini e il suo mondo legato a una tradizione culturale di forte impegno  politico. La mensa era un momento di convivenza complicato, dove  le redazioni di Maurizio Costanzo, Arrigo Levi, Gianni Letta e Corrado Mantoni, convivevano con gli ultimi pezzi di un  cinema militante degli anni settanta.


Ma fu in quei vecchi studi cinematografici romani che nacque una parte importante della televisione commerciale italiana: da Buona Domenica a Non è la Rai, dal Tg5 a Radio Londra. Il nostro piccolo gruppo lavorava con Maurizio Costanzo e Alberto Silvestri (suo indimenticabile braccio destro) per realizzare Buona Domenica, il Costanzo Show, Viaggio in Italia, Elettorando e molti approfondimenti legati all’attualità. Giornate impegnati a ripassare pro e contro di certi abbinamenti sul palco del teatro Parioli di Roma o del Manzoni di Milano. Palchi  dove, in quarant’anni di trasmissione, è transitata la storia, lo spettacolo, la letteratura, la politica dell’Italia repubblicana. Sono ancora forti il ricordo e l’emozione della sera in cui riuscimmo a portare l’allora presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, che aveva combattuto la P2 da Palazzo Chigi, al teatro Manzoni per una puntata speciale del Mcs. Quella serata chiuse definitivamente quello che Costanzo definì «l’errore» commesso nell’aderire alla loggia di Licio Gelli.


Segui l’invito rivoltogli da Antonio Tatò, che fu portavoce di Berlinguer, ad assistere come ospite al congresso del PCI a Bologna e la partecipazione , sempre al Manzoni di Milano, di Achille Occhetto, che di lì a poco avrebbe guidato la svolta della Bolognina (e non è possibile dimenticare l’incontro su un altro palcoscenico, quello del teatro Eliseo di Roma con Giorgio Almirante) Costanzo non lo aveva mai incontrato e chiese a uno di noi di essere presente allo scambio di saluti e alla conversazione che ne seguì. Nella pur chiara diversità di storie personali, la conversazione prese una piega talmente cordiale che riuscimmo con fatica a interromperla per portarli sul palcoscenico ed iniziare la puntata. In anni di lavoro vicino a lui abbiamo imparato a conoscere un uomo ironico, geniale e cinico di quel cinismo che solo i romani sanno avere, aveva iniziato a fare il giornalista a Paese Sera nel 1956. Ma ci teneva a  ricordare che la scelta di fare il giornalista fu frutto del suo amore per Indro Montanelli: «A Montanelli devo tutto, leggevo i suoi articoli sulla terza pagina del Corriere. Mi invaghii. Così, a 14 anni, gli scrissi una lettera. Incredibilmente mi rispose. Mi invitò alla redazione romana. Poi nella sua casa di piazza Navona. Montanelli mi ha seguito per tutta la vita. Mi fece pure assumere da Gaetano Afeltra al Giorno».

Ma con il Costanzo Show superammo anche i confini italiani per raccontare altri paesi. La puntata che organizzammo a Mosca nel 1986, provò a raccontare come tutto stesse cambiando nell’Unione Sovietica di Gorbaciov. Furono lunghe settimane di preparazione per noi che eravamo a Mosca. Prima di tutto bisognava spiegare ai funzionari della tv di stato lo spirito della trasmissione e con loro fare la scelta degli ospiti italiani e sovietici. Per la prima volta un programma di intrattenimento e informazione della televisione italiana andava in onda anche sulla televisione sovietica, interamente doppiato in russo. Ma c’era una domanda che ci venne rivolta spesso e che inorgogliva tutti noi: «Perché è qui una televisione privata a raccontare come sta cambiando il nostro paese e non la televisione pubblica italiana?».

Un momento particolarmente toccante fu l’incontro con il figlio di Antonio Gramsci, insegnante di violino al conservatorio di Mosca, che raccontò a Costanzo la sua vita trascorsa lontano da un paese, l’Italia, che conosceva per i racconti e i film che aveva potuto vedere. Fu lui che sottopose  Costanzo a una serie interminabile di domande sull’Italia, e Maurizio accettò, in un paradossale scambio dei ruoli. Il tutto avvenne nel chiuso della stanza di un albergo, e tutti noi ci rimproverammo di non avere avuto una telecamera che riprendesse Costanzo intervistato da Gramsci, soprattutto quando Gramsci chiese a Costanzo come si fa la vera pasta al pesto. Maurizio si guardò intorno, cercò tutti noi con lo sguardo e capì che non avrebbe mai avuto una risposta.

Alla fine dell’anno precedente, nel 1985, organizzammo una puntata del Costanzo Show nel carcere di Brescia. Fu una puntata storica perché per la prima volta le telecamere entravano per registrare un’intera trasmissione all’interno di un istituto penitenziario, che aveva un piccolo teatro con tanto di palco per le rappresentazioni organizzate dai detenuti. Non fu una cosa semplice ottenere tutti i permessi e convincere l’allora ministro della Giustizia, il democristiano Mino Martinazzoli a concedere il via libera e partecipare addirittura alla puntata. Ma ci riuscimmo e vedere Maurizio particolarmente soddisfatto seduto tra il ministro, uno psicologo e alcuni detenuti a parlare liberamente di sesso in carcere e altri temi importanti rappresentò sicuramente una pagina televisiva importante. Non fu “guastata” neanche da una piccola manifestazione di protesta inscenata da due reclusi che si legarono all’esterno dei grandi finestroni della sala. Furono ascoltati sul palco e Martinazzoli prese nota delle richieste.

Spiace che ora tutto possa andar perso come è stato per trasmissioni pilastro in Rai di cui sono rimasti a caso dei frammenti. Costanzo avrebbe voluto e meritato, come lui stesso sognava, una raccolta meditata della sua creatura più amata. Fatta di equilibri politici sempre sul filo del rasoio, della pressione continua di Marco Pannella interessato a lanciare un’iniziativa radicale, di lotta alla mafia di cui molto si è detto e ricordato anche in questi giorni tristissimi. Attori, scrittori e comici, nati, cresciuti e “spinti” da Maurizio al successo. Vederci arrivare trafelati alle riunioni nel quartiere Prati, già iniziate, ma con una nuova indiscrezione o un gossip da condividere, lo metteva sempre di buon umore. Rideva, ci prendeva in giro, ci chiedeva sempre di più, mai però come Silvestri che ci sfidava a ottenere l’impossibile. Esempi? Mina, il Papa, uno dei Beatles.  Di quella fantastica redazione si è persa quasi traccia. Alcune morti dolorosissime e altri impegni nostri o lavori l’hanno sfarinata e altre redazioni altrettanto valide di sono succedute nel tempo. Ma gli anni della fama e del consolidamento di essa, tutti gli anni ottanta, noi li abbiamo vissuto dal di dentro, dal corpo unico di quella squadra che ora ha perso la sua ragione d’esistere oltre che il capo, il comandante, il genio creativo. Ed è un grandissimo dolore. Di cui vogliamo rendere testimonianza.

Testo di Tullio Camiglieri e Stefano Romita

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