Bassetti-Crisanti, scintille sull’inchiesta Covid: «Facile giudicare ora: si navigava al buio». «Assolvere tutti significa preparare nuovo disastro»

Duello in tv tra il microbiologo e l’infettivologo sull’indagine della procura di Bergamo sulla mancata instaurazione della zona rossa in Val Seriana

Stima e rispetto, ma visioni ben diverse, talora agli antipodi. Sono due modi di vedere opposti quelli che si sono scontrati oggi su Rai3 sulla gestione della prima ondata di pandemia e, dunque, sull’inchiesta della procura di Bergamo. Da un lato Andrea Crisanti, microbiologo e senatore Pd, fautore da sempre delle zone rosse per circoscrivere il virus e autore della consulenza sulla gestione del contagio al cuore dell’inchiesta. Dall’altra l’infettivologo del San Martino di Genova Matteo Bassetti, decisamente più prudente sulle chiusure ad oltranza e più perplesso nei confronti di eventuali responsabilità, specie se accertate per via giudiziaria. Ospiti di Lucia Annunziata a Mezz’ora in più, i due esperti hanno duellato, con rispetto ma senza negare divergenze e qualche puntura di spillo. «Mai come ora mi sono reso conto che il prezzo dell’integrità è la solitudine», esordisce Crisanti, che confessa che da quando si pè avuta la notizia della conclusione delle indagini con al centro la sua perizia nessuno, neppure nel Pd nelle cui liste è stato eletto, lo ha contattato. Nessuna interlocuzione neppure con l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, indagato insieme ad altre 18 persone, tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e l’ex assessore regionale al Welfare Giulio Gallera.


Processo al passato

Non sembra avere problemi di solitudine Matteo Bassetti, che non nasconde il suo scetticismo per l’inchiesta della procura di Bergamo: «A fine febbraio-inizio marzo 2020 eravamo tutti impegnati a fare del nostro meglio, in quel momento qualsiasi scelta era presa al buio. Se si deve pensare a un processo per quei giorni non può che essere fatto al virus. Qualsiasi scelta fu presa in buona fede nell’interesse della popolazione», sostiene Bassetti, che ricorda come all’epoca «si navigava al buio in un mare in tempesta. O siamo tutti innocenti o siamo tutti colpevoli. Non si può giudicare quanto successe con gli occhi di adesso». Un approccio che non convince Crisanti. «Dire ‘siamo tutti assolti, va tutto bene’ secondo me significa aprire la strada a una situazione di impreparazione la prossima volta. Chiudere gli occhi davanti a un disastro significa aprire la strada a un altro disastro», è il suo giudizio severo.


Per il microbiologo romano, ora anche senatore, per quanto riguarda la gestione pandemica, «ci sono Paesi che hanno fatto benissimo, come la Corea del Sud, il Giappone, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Vietnam. Allora c’è da chiedersi, perché questi hanno fatto così bene e noi così male? La ragione fondamentalmente è perché questi Paesi avevano le conoscenze tecnico scientifiche adeguate, perché ogni anno devono affrontare malattie epidemiche gravi». Al centro della consulenza di Crisanti – che, precisa «era una perizia richiesta dalla procura, non un atto d’accusa» – c’è come si sa la mancata attuazione del piano pandemico esistente nel 2020, pur non aggiornato, che secondo lui ai vertici del ministero della Salute per lunghe settimane non lessero neppure.

Bassetti contro il giustizialismo

Ma Bassetti rifiuta ogni processo a posteriori: «Io non credo che l’Italia sia stata tra i Paesi peggiori ad affrontare il problema. Poi, perché si parla solo dei morti di Bergamo? i morti ci sono stati anche a Genova, Bologna, Roma. Eravamo davanti a un virus nuovo: non facciamo questo esercizio giustizialista dove bisogna per forza trovare il colpevole». «Avevamo un piano pandemico fermo al 2006 – conclude -. Se dobbiamo indagare, bisogna guardare ai tanti ministri che si sono succeduti negli anni senza rivederlo. Non sono mai stato tenero né con Speranza né con Conte, ma non mi sembra questo il modo migliore di leggere la pandemia».

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