Silicon Valley Bank, il salvataggio del Tesoro Usa: «Ma il panico è palpabile, in arrivo altri fallimenti»

Le autorità finanziarie Usa puntano a coprire il buco da 300 miliardi senza pescare dalle tasche dei contribuenti. L’economista Rogoff è critico

Dopo dopo Svb e Silvergate, anche la newyorkese Signature Bank è andata gambe all’aria. Mentre il mondo tech si preoccupa, dalle autorità finanziarie statunitensi arriva la scialuppa di salvataggio per i clienti degli istituti. Federal Reserve, Tesoro e Federal Deposit Insurance Corporation, hanno promesso che chi aveva denaro in quelle banche non lo perderà, dato che verrà risarcito anche oltre il limite federale di 250 mila dollari che normalmente si applica in questi casi, spiega il Sole 24 Ore. Si è scelto di dichiarare il fallimento di Svb e Silvergate, in mano all’authority, in modo da poter adottare misure straordinarie, al posto della vendita spezzatino paventata inizialmente. «Oggi stiamo intraprendendo azioni decisive per proteggere l’economia statunitense, rafforzando la fiducia del pubblico nel nostro sistema bancario. Questo passo garantirà che continui a svolgere i suoi ruoli vitali di protezione dei depositi e di accesso al credito a famiglie e imprese, in un modo che promuova una crescita economica forte e sostenibile», ha dichiarato la segretaria del tesoro Usa Janet Yellen.


I contribuenti non pagheranno

Si tratta, però, di una cifra monstre anche per le finanze del Paese più ricco al mondo: gli istituti di credito hanno perso fino ad ora 300 miliardi di dollari. Fondi che la FdIc potrebbe recuperare applicando un’imposta sulle banche grazie alla quale riuscirebbe nell’operazione senza dover pescare dalle finanze pubbliche. Oltre a ciò, verrà aperta una nuova linea di credito, la Bank Term Funding Program, alle quali le banche si potranno affidare in caso di difficoltà. L’obiettivo è evitare una bank run, ovvero una fuga dei clienti dagli istituti di credito che potrebbe portare a una crisi finanziaria, anche se il Tesoro ha espresso la propria «piena fiducia nel sistema bancario».


Ed effettivamente, a Wall Street la situazione è abbastanza tesa, come fa notare il presidente dell’Istituto per l’economia internazionale dell’università di Harvard, Kenneth Rogoff. «A New York, dove ho trascorso il weekend, c’è un palpabile senso di panico fra i banchieri e gli industriali con cui ho parlato. E fra i loro avvocati», racconta l’esperto a la Repubblica. Secondo Rogoff, il settore bancario è comunque ben capitalizzato, e quindi dispone di fondi «ma questa crisi è sicuramente gravissima. Per ora non appare sistemica, ma non è sicuro», spiega l’economista. Tra i clienti che il Tesoro dovrà salvare ci sono anche numerose compagnie impegnate nella produzione di impianti rinnovabili. Il più colpito è il comparto del solare dove l’istituto di credito finanziava o partecipava al 62% dei progetti di comunità energetiche.

E aggiunge l’economista: «Ormai sembra un copione-standard: quando si respira aria di crisi, i detentori del potere politico e finanziario lasciano che una, due o tre banche minori falliscano, così tanto per mitigare il “moral hazard”, sondare il terreno e far capire i rischi che si corrono. E poi si interviene a tamponare le ferite, sempre che ciò sia possibile». Secondo Rogoff, la situazione non è rosea: «L’angoscia è diffusa, anche in altri settori. Il mercato degli immobili commerciali, ad esempio, è una bomba a tempo». E ancora: «Il tasso di occupazione è in media sotto i livelli pre-Covid, e l’esposizione è alta: con una domanda scarsa e i tassi in impennata, ci saranno diversi fallimenti con conseguenze anche sul settore finanziario».

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