Corea del Sud, dietrofront sulla settimana di lavoro da 69 ore: vincono le proteste dei giovani

Altro che settimana corta, a Seul era stato proposto a un allungamento dell’orario di lavoro che ha scatenato le proteste di ventenni e trentenni

Il governo conservatore della Corea del Sud fa marcia indietro sulla decisione, presa nei giorni scorsi, di portare il tetto massimo delle ore lavorative settimanali da 69 a 52. A riportarlo è il Guardian, che sottolinea come le proteste dei giovani abbiano spinto il presidente Yoon Suk-yeol a ordinare alle autorità di Seul di ripensare i termini della misura presentata e «comunicare meglio con il pubblico, specialmente con la generazione Z e i millennial». L’aumento delle ore lavorative era stato giustificato dallo stesso capo di Stato, del partito del Potere Popolare, come un piano per dare più flessibilità ai lavoratori che – con le nuove norme – avrebbero potuto beneficiare di più tempo libero rispetto a prima. Tuttavia, le proteste dei sindacati, nonché dei giovani scesi in piazza, e del partito di opposizione (il partito democratico) pensano ci possa essere un ulteriore aumento delle ore lavorative qualora la misura dovesse essere approvata in Parlamento, in un paese già noto per la sua cultura del lavoro punitiva. I sudcoreani, infatti, lavorano già molto di più dei dipendenti di altre parti del mondo, arrivando spesso al limite delle 52 ore – previste dalla legge attuale, approvata nel 2018 – a settimana: secondo il quotidiano britannico hanno lavorato in media 1.915 ore nel 2021, ovvero 199 ore in più rispetto alla media riportata dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, e 566 ore in più rispetto ai lavoratori in Germania.


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