Moda, boom di offerte di lavoro per giovani: «Ora abbiamo bisogno (anche) di ingegneri e chimici» – Le interviste

La docente dell’Università Bocconi Stefania Saviolo e Paolo Bastianello di Confindustria Moda analizzano con Open il trend in crescita del lusso

Stilisti, designer, sarti. Ma anche ingegneri e chimici. Da Lvmh a Moncler fino a Prada, i grandi brand del lusso sono in cerca di migliaia di lavoratori. Soprattutto giovani. «Noi imprenditori abbiamo dormito per anni. Non abbiamo considerato prioritario il problema del ricambio generazionale, cadendo in un errore di visione», spiega a Open Paolo Bastianello, presidente del Comitato Education di Confindustria Moda, la federazione italiana che riunisce le associazioni della filiera del Tessile, Moda e Accessorio. Ma dietro la ricerca di nuove leve da parte dei grandi nomi della moda ci sono molte ragioni. Come la mancanza di figure tecniche e la formazione degli studenti poco in linea con le richieste del mercato del lavoro. Ma anche un andamento positivo del settore. «Il lavoro va bene. Il trend è in crescita, ma è anche una costante nel tempo», spiega Bastianello. E i dati confermano: secondo l’ultimo rapporto del mese di aprile di Unioncamere e Anpal, il settore della moda è tra quelli che offrono maggiori opportunità di lavoro, assieme alle industrie della meccatronica e della metallurgia. Si parla di circa 10 mila contratti da attivare in questo mese e 27 mila lungo il trimestre.


Le aziende alla ricerca di (migliaia) di nuove leve

Proprietaria di Christian Dior, Bulgari, Fendi, Louis Vuitton e altre decine di grandi marchi, Lvmh Moët Hennessy Louis Vuitton ha chiuso i ricavi del primo trimestre a oltre 21 miliardi di euro. Registrando una crescita del 17% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Così ha spinto l’acceleratore sul reclutamento di nuovo personale: cerca 1.000 nuove figure in Italia da inserire nei suoi negozi, nelle manifatture e negli alberghi. Poi per il 2024 prevede di farne entrare altre 1.000. Ma Lvmh non è un unicum. Anche il Gruppo Prada ha annunciato che assumerà oltre 400 persone entro la fine del 2023. Così come Gab Group, azienda fiorentina di pelletteria per brand di lusso, che nei prossimi giorni avvierà la selezione per la prima tranche di 200 nuove assunzioni da inserire nel proprio organico tra il 2023 e il 2024. Nei mesi scorsi anche Gucci ha annunciato la costruzione di un nuovo stabilimento produttivo a Recanati, la cui chiusura dei lavori è prevista entro i primi mesi del 2024, che darà lavoro a circa 400 persone. Tra coloro che sono alla ricerca di nuovi volti spiccano anche i nomi di Zegna, Moncler e Florence.


Moda volano dell’economia: cosa dicono i dati

Il settore della moda rappresenta un volano dell’economia. In Italia conta oltre 60 mila aziende, circa 600 mila addetti e un fatturato che sfiora i 100 miliardi di euro all’anno. Stando a uno studio del 2022 di Confindustria Moda e del Censis, il cosiddetto TMA (tessile, moda e accessorio) è la seconda industria italiana per numero di occupati e nella graduatoria dell’Unione europea relativa ai settori TMA è al primo posto per valore aggiunto (21 miliardi di euro). Secondo le stime di Unioncamere entro il 2026 saranno disponibili dai 63.000 ai 94.000 posti per assunzioni nelle categorie specializzate nel mondo del fashion.

Cosa c’è dietro i numerosi posti vacanti e il conseguente boom di assunzioni

C’è un grande gap tra la formazione data dalle accademie italiane e quello che chiede il mercato del lavoro. «La moda richiede profili tecnici con competenze molto specifiche che si formano sul campo, attraverso un’intensa collaborazione azienda-scuola e la presenza di laboratori», inizia a spiegare a Open Stefania Saviolo, docente del dipartimento di Management e Tecnologia all’Università Bocconi e fondatrice del MAFED (Master in Fashion, Experience & Design Management). «Nel nostro Paese c’è scarsità di questo tipo di formazione. È una debolezza del sistema formativo italiano e – puntualizza – anche per la limitata collaborazione delle aziende». Concorda Bastianello di Confindustria Moda: «Oltre alla parte creativa, per gestire un’azienda di moda, servono molte figure. Non solo stilisti, ma anche periti, ingegneri e chimici», sottolinea. «Per questo – aggiunge – si stanno cercando, oltre alle figure tradizionali, anche tutta una serie di professioni che fino a 5-10 anni fa il mondo della moda non contemplava». Un altro aspetto dietro la mancanza di figure tecniche, evidenzia la docente Saviolo, è «la mancanza di conoscenza e la scarsa attrattività sia di questi mestieri tra i giovani che del sistema tessile moda come settore».

Il nuovo approccio al lavoro dei giovani

Un aspetto che Bastianello ritiene interessante è anche come il ricambio generazionale porti nuovi interrogativi all’interno delle aziende. Più giovani significa anche cambio nel modo di affrontare il lavoro. «Le nuove generazioni fanno richieste nuove rispetto a quelle della mia. Ai colloqui non chiedono più solo la paga, ma ad esempio se gli è concesso o meno lo smart working», racconta l’imprenditore. «Io noto un approccio alla carriera meno affannoso. È un aspetto sia positivo che negativo. Se la richiesta di maggior tempo libero si tramutasse in una maggiore attenzione ad avere una famiglia o dei figli questo aiuterebbe anche le aziende. In Italia abbiamo un grave problema di denatalità e questo si traduce anche in una difficoltà nel trovare risorse», prosegue. E aggiunge: «Combinare la riuscita di aziende efficienti con poco capitale umano è una sfida attuale». In un mondo sempre più industrializzato che richiede con maggior attenzione figure vicine ai settori della tecnologia e della comunicazione, spicca come tra i profili ricercati dall’alta moda ci sia l’esigenza di figure nel campo della maglieria, della pelletteria, della calzatura e della sartoria. «Servono ancora queste professioni», incalza Confindustria Moda. «Perché l’obiettivo è uno: mantenere la nostra industria della moda prima al mondo. Noi non vendiamo beni di prima necessità, ma emozioni. E per farlo serve studio, lavoro e ricerca».

Il liceo del Made in Italy può essere la soluzione?

Cavallo di battaglia del governo attuale è la proposta di ideare un liceo del Made in Italy con l’intento di offrire uno sbocco professionale agli studenti più in linea con le richieste del mercato del lavoro, rispetto alla formazione delle scuole esistenti. In questo tipo di istituto ci sarebbero anche lezioni di gestione delle imprese del made in Italy e modelli di business nelle industrie della moda e dell’arte. «Un’idea interessante», secondo la docente della Bocconi. Che precisa: «Dipende, però, da quanto sarà professionalizzante rispetto alle esigenze del settore. Si potrebbe anche puntare a far evolvere quello che abbiamo già, a partire dagli ITS dove ci sono eccellenze, come il TAM (per tecnici e designer del tessile abbigliamento) di Biella».

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