Covid, Giorgi Palù (Aifa): «Dovrebbe essere dichiarata la fine: non c’è più un rischio significativo»

Il virologo e presidente di Aifa sostiene che presto il Coronavirus diventerà una malattia stagionale «legata alla stagione fredda, come l’influenza»

La pandemia? Un ricordo, seppur non troppo lontano: questa almeno è la posizione del virologo Giorgio Palù, presidente di Aifa (Agenzia italiana del farmaco). Che al Corriere della Sera dichiara: «La fine della pandemia dovrebbe essere dichiarata. Credo che l’Organizzazione mondiale della Sanità sia prossima a farlo e il ritardo sia dovuto a un residuo di prudenza». Dimostra di non aver più paura del Coronavirus, che definisce «assai poco virulento se non proprio innocuo». E dunque, ormai non implicherebbe più «un rischio significativo».


In attesa dell’Oms

«È mutato diverse volte fino a diventare, con la variante ora circolante soprannominata in modo non scientifico Arturo, causa di raffreddore e congiuntivite nei bambini – spiega Palù -. Ha un’incubazione molto breve, due giorni rispetto ai sette-otto dell’inizio, quindi contagia di più perché ha una fase infettiva più veloce. Si ferma alle prime vie nasali, non scende in bronchi e polmoni». Il virus Arturo, in sintesi, può essere considerato «un mutante innocuo, contagia ma non è mortale. Il rischio, come per altri virus respiratori, è per i più gracili». A questo punto, non resta che aspettare «il segnale ufficiale di fine» dell’emergenza da parte dell’Oms: «Certo stiamo vivendo in un contesto che dal punto di vista virologico è senza dubbio post-pandemico. Lo dicono anche i dati di mortalità, incidenza, ricoveri italiani e internazionali, in continua discesa». Anche se non siamo ancora arrivati al punto di considerare il Covid una malattia stagionale, aggiunge, «presto lo diventerà e probabilmente avrà una diffusione legata alla stagione fredda come l’influenza».


La verità sui vaccini

E dunque, ha ancora senso vaccinarsi? Parzialmente, secondo il virologo: «Un richiamo in questa fase ha senso solo per le persone ricoverate nelle residenze per anziani, gli over 80, i soggetti più esposti per professione e i pazienti con sistema immunitario indebolito». Per tutti gli altri, si sta lavorando a «una campagna di vaccinazione anti-influenzale e anti-Covid autunnale con un vaccino costruito sulla variante più diffusa». Le fiale a disposizione, puntualizza, «proteggono al 30% dall’infezione e al 90% da morte e malattia grave. Hanno salvato decine di milioni di persone nel mondo. Ma il virus è stato così rapido nell’assumere mutazioni da non permetterci di stargli dietro». La scienza, infatti, ha fatto il possibile, e con una rapidità senza precedenti. «Si trattava di una malattia del tutto nuova e di un coronavirus sconosciuto che per la prima volta colpiva un’umanità completamente esposta e indifesa». E se la comunità scientifica, anche quella italiana, ha commesso errori, «sono legati a conoscenze che andavano maturando di giorno in giorno – spiega Palù -. Le scelte erano improntate al massimo della cautela e della prudenza, nel mentre si affrontava una calamità di immani proporzioni. L’urgenza, specie nella fase iniziale dove mancavano i vaccini, era quella di mettere il più possibile al sicuro la popolazione adottando tutte le iniziative per contrastare una pandemia che ha contato 6,9 milioni di morti e 690 milioni di infettati». Nella parte conclusiva dell’intervista, accenna a un mea culpa: «Inconcepibile pensare a decisioni strategiche che non siano state prese per il meglio, in scienza e coscienza. Riconosciamo però con umiltà che, soprattutto dovendo decidere in tempi critici, possiamo essere fallaci. Sarebbe grave sbagliare e farsi trovare impreparati in futuro, se colpiti da altre minacce, non avendo fatto tesoro dell’esperienza vissuta».

Leggi anche: