Novak Djokovic, il lupo e il vaccino: «Non sono mai stato No vax ma ci voleva un bersaglio e hanno preso me»

Il tennista parla del suo animale-guida che ha incontrato da bambino e del “Mainstream”: «Sono pro choice»

«Un giorno ero solo nella foresta, avrò avuto dieci anni, e ho incontrato un lupo». Novak Djokovic racconta oggi un aneddoto sulla sua vita da bambino in Serbia. « Provai una paura profonda. Mi avevano detto che in questi casi bisogna indietreggiare lentamente, senza perderlo di vista. Ci siamo guardati per dieci secondi, i più lunghi della mia vita; poi lui ha piegato a sinistra e se n’è andato. Provai una sensazione fortissima che non mi ha mai abbandonato: una connessione d’anima, di spirito. Non ho mai creduto alle coincidenze, e pure quel lupo non lo era. Era previsto. È stato un incontro breve, ma molto importante», dice nell’intervista ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera.


Il lupo

Perché il lupo, dice, simboleggia il suo carattere. «Spesso nella vita mi sono ritrovato solo. Solo con la mia missione, con i miei obiettivi da raggiungere. Sono rimasto connesso con quel lupo. Anche perché il lupo per noi serbi è sacro. È il nostro animale totemico. È il simbolo di una tradizione nazionale, di una fede ancestrale che precede il cristianesimo. Una religione prima della religione». Riguardo le vaccinazioni, Djokovic dice di aver subìto tutto sulla sua pelle. «Molte persone hanno apprezzato che io sia rimasto coerente. Il 95 per cento di quello che è stato scritto e detto in tv di me negli ultimi tre anni è totalmente falso».


Pro choice

Perché, sostiene, «io non sono no vax e non ho mai detto in vita mia di esserlo. Non sono neppure pro vax. Sono pro choice: difendo la libertà di scelta. Èun diritto fondamentale dell’uomo la libertà di decidere che cose inoculare nel proprio corpo e cosa no. L’ho spiegato una volta alla Bbc, al ritorno dall’Australia, ma hanno eliminato molte frasi, quelle che non facevano comodo. Così non ho mai più parlato di questa storia». Dice che in Australia è stato in «un carcere. Non potevo aprire la finestra. Io sono rimasto meno di una settimana, ma ho trovato ragazzi, profughi di guerra, che erano lì da moltissimo tempo. Il mio caso è servito a gettare luce su di loro, quasi tutti sono stati liberati, e questo mi consola. Un giovane siriano era lì da nove anni».

Il mainstream

Djokovic torna sulla sua versione dei fatti: «Avevo avuto il Covid ed ero guarito. Ho rispettato tutte le norme e non ho messo in pericolo nessuno. Eppure una volta là sono diventato un caso politico, uno che metteva in pericolo il mondo. Il sistema, di cui i media sono parte, esigeva un bersaglio, che fosse opposto al mainstream; e lo sono diventato. Mi hanno messo l’etichetta di no vax, una cosa del tutto falsa, che ancora adesso mi fa venire il mal di stomaco. Poi si è scoperto che la situazione della pandemia era molto diversa da come veniva presentata. Ora l’Organizzazione mondiale della sanità ha scritto che il virus non è più così grave, che fa parte di tutti i virus che abbiamo…».

I colleghi

Per questo, dice, «ho sempre accettato le regole. Non potevo andare in America e non sono andato. Ho rinunciato a due Us Open per restare coerente con me stesso. Non ho parlato, perché ho visto che quel che dicevo veniva distorto. Sono tornato in Australia e ho vinto. Però sono rimasto deluso. Dai media e da molti colleghi». Ma adesso non vuole fare i nomi: «Ma quando mezza società è contro di te, allora vedi la vera faccia delle persone. E molte persone hanno girato la testa dall’altra parte. Molti giocatori e qualche organizzatore».

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