Sebastiao Salgado, il pessimismo sul futuro: «La Terra è stanca di noi: con un’altra crisi può sbarazzarsi dell’uomo»

Intervistato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, il fotografo brasiliano ripercorre alcune tappe della sua carriera: «Fu mia moglie Lélia a trasmettermi la passione per la fotografia»

«Non finirà il mondo, finiremo noi. Il pianeta ha risorse incredibili ma le stiamo esaurendo. La Terra è stanca di noi. Ha attivato meccanismi di difesa per sbarazzarsi dell’uomo. Il sistema è fragile: una crisi potrebbe essere fatale». A parlare è Sebastião Salgado, 79 anni, il più importante fotografo vivente. In un’intervista con Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, Salgado ripercorre alcune delle tappe più importanti della sua vita e si mostra piuttosto pessimista sugli sforzi che sta compiendo l’umanità per contrastare i cambiamenti climatici. «La specie umana è condannata?», gli chiede Cazzullo. E il fotografo risponde: «Assolutamente sì. Il punto di non ritorno è già stato superato. La velocità della distruzione cresce in modo esponenziale. Il riscaldamento sta accelerando, intere aree diventano deserti, il mare sempre più caldo emana sempre più anidride carbonica». E l’esempio più chiaro che cita il fotografo viene proprio dal “suo” Brasile. «Bolsonaro ha accelerato la distruzione dell’Amazzonia. Ora una donna india è diventata ministra, ma ormai solo una piccola parte delle terre appartiene alle comunità indigene. L’Amazzonia è la preistoria dell’umanità». Il suo ultimo progetto Genesi sarà esposto fino al 19 novembre alla Fabbrica del Vapore, a Milano. Una città in cui Salgado sembra trovarsi a proprio agio. «In Italia mi trovo benissimo – dice il fotografo -, soprattutto qui a Milano. La trovo una città più calma di Roma».


La fuga dal Brasile e l’attentato a Reagan

Nell’intervista con Aldo Cazzullo, Salgado ripercorre anche gli inizi della sua carriera, quando lavorava come economista, non come fotografo. «Ero sulla strada per rappresentare il Brasile in qualche istituzione finanziaria – racconta Salgado -. Poi arrivò la giunta militare». A quel punto, il fotografo brasiliano diventa un oppositore del regime e decide di lasciare il Brasile. Nel 1969 va in Europa per l’Organizzazione internazionale del caffè. «Non avevo mai preso in mano una macchina fotografica. Fu Lélia (sua moglie – ndr) a trasmettermi la passione». A quel punto, la fama di Salgado decolla. Prima si sposta in Portogallo per raccontare la «Rivoluzione dei Garofani», che mise fine alla dittatura di António Salazar. Poi il viaggio negli Stati Uniti, dove scatta una delle sue foto più memorabili: l’attentato a Ronald Reagan del 30 marzo 1981. «Sento i primi botti, qualcuno pensa a fuochi d’artificio ma io sono stato in guerra e so distinguere i colpi di pistola dai fuochi d’artificio, scatto con la prima macchina che afferro, è quella con la pellicola a colori, l’immagine del presidente colpito uscirà un po’ sgranata, quasi viola», ricorda il fotografo brasiliano. «Confusione immensa, tutti vengono allontanati – aggiunge Salgado – ma io continuo a scattare, gli agenti dell’Fbi ormai mi considerano uno di loro. Fotografo anche la testa di un poliziotto, Brad, aperta da un proiettile, il sangue tamponato con il fazzoletto…».


Credits foto: EPA/Sebastiao Moreira

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