Il caso di Enrico Lombardo, morto durante un fermo dei carabinieri: immobilizzato e preso a calci mentre era a terra – Il video

Il decesso dell’uomo era avvenuto nell’ottobre del 2019. Venerdì prossimo, la Cassazione deciderà se le indagini dovranno continuare o se si andrà verso l’archiviazione

Il 42enne Enrico Lombardo viveva a Spadafora, frazione di 5mila abitanti nei pressi di Messina, e per i suoi familiari era un «gigante buono», a sottolinearne l’indole mite e la notevole statura. L’uomo è morto nella notte tra il 26 e il 27 ottobre del 2019, durante un fermo dei carabinieri. Si trovava sotto casa della sua ex compagna, la quale, vedendolo in stato di agitazione, aveva chiamato le forze dell’ordine per provare a calmarlo. Una volta sul posto, i carabinieri hanno riferito che l’uomo era «in stato di nervosismo per motivi familiari», ma si dimostrava «vigile e collaborante». Così decisero di chiamare un’ambulanza. Nelle ore successive, ricostruisce la Repubblica, Lombardo prima si allontana per poi tornare. In questo lasso di tempo, è avvenuta una violenta colluttazione con i carabinieri, che termina con quella che viene definita una manovra di contenimento. Lombardo, ormai ammanettato, viene immobilizzato per un lungo lasso di tempo: circa 20 minuti. Qualcuno, da un balcone, riesce a riprendere la scena: Lombardo appare a terra, riverso sul fianco destro, e il suo corpo viene preso a calci da tre carabinieri. Quando lui prova a difendersi, un carabiniere lo raggiunge e lo prende per le gambe, cambiandogli posizione. Una volta bloccate le sue spalle e le sue gambe, un terzo uomo in borghese (il comandante della stazione) preme con il ginocchio destro sulla schiena del fermato. Il video si interrompe quando gli agenti cessano di accanirsi su di lui, e Lombardo torna ad agitarsi. L’uomo verrà dichiarato morto alle 02:47.


Il «codice Floyd»

Tra le possibili cause del decesso, c’è proprio la manovra di contenimento adottata, che ha riprodotto il «codice Floyd»: la tecnica di immobilizzazione che ha provocato il decesso dell’afroamericano a Minneapolis il 25 maggio del 2020. E che consiste nel bloccare il fermato, dopo averlo ammanettato, gravandogli su spalle, scapole e dorso. Mentre il braccio di uno degli agenti ne stringe il collo. La duplice pressione sul torace e sulla gola, impedendo la normale respirazione, può causare l’asfissia. Nel registro degli indagati della Procura di Messina ci sono tre sanitari, accusati di omicidio colposo, e il comandante della stazione dei carabinieri, su cui grava l’accusa di morte come conseguenza di altro delitto. Per due volte la Procura ha chiesto l’archiviazione delle indagini. Ma la difesa della famiglia ha sempre fatto ricorso, anche in Cassazione. Opposizione ritenuta ammissibile: venerdì prossimo, la Suprema Corte deciderà se le indagini dovranno continuare o se si andrà verso l’archiviazione.


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