Minenna «personalità criminale», le accuse all’ex capo delle Dogane e al leghista Pini: nella rete di complici anche un poliziotto e un carabiniere

L’atto d’accusa contro l’ex assessore M5S a Roma e l’ex parlamentare del Carroccio nell’ordinanza del gip di Forlì

C’era una vera e propria alleanza nel segno della corruzione al cuore del rapporto tra Marcello Minenna, l’ex direttore dell’Agenzia delle Dogane, poi assessore al Bilancio col Movimento 5 Stelle al Comune di Roma e oggi assessore all’Ambiente della Regione Calabria, e Gianluca Pini, imprenditore ed ex parlamentare della Lega. È questa l’accusa mossa dalla procura di Forlì nell’ordinanza con cui ha disposto gli arresti domiciliari per i due insieme a misure cautelari per altre 32 persone coinvolte nell’indagine relativa all’approvvigionamento illecito di mascherine nel pieno della pandemia da Covid-19. Un’inchiesta nata tre anni fa quasi per caso. Gli investigatori di Forlì si mettono sulle tracce di Pini, diventato imprenditore dopo essere stato in Parlamento col Carroccio dal 2006 al 2018, a seguito del sequestro nel gennaio 2020 di una partita di droga proveniente dal Belgio: 28 chili di cocaina fatti filtrare da una banda di albanesi. Dalle intercettazioni emerge infatti che l’imprenditore indiziato del settore degli autotrasporti nutriva un «forte e consolidato rapporto personale e d’affari» con un ex parlamentare della Repubblica: Gianluca Pini appunto.


L’indagine

Spostando il faro su di lui, la procura di Forlì scopre così nei mesi successivi che Pini ha nel frattempo costruito «una rete di rapporti che gli ha permesso, tra l’altro, di ottenere un appalto milionario dall’Ausl Romagna per la fornitura di dispositivi medici lucrando così anche sulla crisi pandemica del 2020». Passato a tempo di record dal settore della ristorazione a quello appunto della fornitura delle introvabili mascherine chirurgiche, l’ex parlamentare ha infatti ottenuto un appalto da 3,5 milioni di euro dalla Regione Emilia-Romagna per l’approvigionamento di mascherine dalla Cina. Prive però delle necessarie certificazioni. E qui entra in gioco l’Agenzia delle Dogane diretta allora da Marcello Minenna. Ad assicurare l’aggiramento dei controlli doganali pensa direttamente lui, mettendo al servizio di Pini l’esercizio della funzione pubblica, scrive il Gip nell’ordinanza, «sia intervenendo egli stesso con gli uffici territoriali per risolvere le problematiche di Pini sia dando ordini ai suoi più stretti collaboratori, dirigenti nazionali dell’Agenzia delle Dogane, di mettersi a disposizione» dell’ex parlamentare «per risolvergli i problemi che l’imprenditore aveva in fase di sdoganamento della merce ovvero in fase di accertamenti da parte dei funzionari territoriali delle dogane». Ma perché Minenna si presta a questo gioco sporco, nei mesi burrascosi in cui dilaga la pandemia? Per la promessa di un concreto ritorno politico-professionale, secondo la procura. Pini gli avrebbe infatti garantito di accreditarlo ai vertici della Lega «in modo venisse considerato un uomo di quel partito e gli prometteva la conferma della nomina a Dg dell’Agenzia delle Dogane a seguito del cambio del governo, che effettivamente otteneva».


Il patto delittuoso e la personalità di Minenna

Resta per la verità il dilemma, come sottolinea Il Fatto Quotidiano, di come Pini potesse effettivamente provvedere a tale accreditamento, considerato che l’ex deputato era da tempo in rotta con Matteo Salvini ed era semmai rimasto un sostenitore del vecchio Carroccio a trazione settentrionale. Ma al netto di tali incognite, per la procura ciò che emerge chiaramente dalle indagini è il profilo di Minenna, disposto a tutto pur di ottenere i propri scopi. I reati ipotizzati, scrive il gip nell’ordinanza, «rappresentano espressione chiara della personalità criminale dell’indagato, il quale non ha esitato a commettere anche reati al fine di rimuovere ogni funzionario dell’Agenzia delle Dogane che intendesse contrastare la propria gestione padronale di siffatta Istituzione». Quello qui contestato nel patto corruttivo con Pini, insomma, sarebbe stato tutt’altro che un episodio isolato per l’allora direttore dell’Agenzia statale: «piuttosto, un costante modus operandi delinquenziale, ripetibile in ogni altra istituzione nella quale egli è chiamato a svolgere un ruolo di rilievo, quale è quello attuale di Assessore della Giunta regionale calabrese». In un altro avviso di garanzia recapitatogli il 31 gennaio scorso dalla procura di Roma, citato nell’atto, Minenna risulta in effetti anche accusato dei reati di violenza, minaccia e calunnia ai danni dell’Agenzia delle Dogane.

La rete di Pini

Quanto alla capacità di far valere la propria posizione per avanzare il disegno illecito, d’altra parte, secondo quanto emerge dall’inchiesta lo stesso Pini non era da meno. Secondo quanto ricostruito dalla procura di Forlì, nella sua rete operativa di relazioni figuravano anche un poliziotto, un carabiniere e un dipendente della Prefettura di Ravenna. Il primo, aiutato in passato da Pini ad essere trasferito in un altro ufficio operava su richiesta accessi abusivi al sistema informativo delle forze dell’ordine per raccogliere informazioni utili sul conto di questa o quell’altra persona. «Incarico» simile a quello affidato ad un luogotenente dei carabinieri, trasferito anch’egli grazie all’aiuto di Pini. Quanto al terzo uomo, il funzionario della prefettura, secondo quanto ricostruito dai pm, avrebbe avuto un ruolo nel facilitare il rilascio del porto d’armi a un amico di Pini per sdebitarsi dall’aiuto ricevuto nel procurare un posto di lavoro a sua figlia.

Leggi anche: