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Omicidio Alice Scagni, anche il marito contro i genitori: «Giustificavano Alberto: pentiti solo dopo l’omicidio»

L'uomo aveva pensato anche di scappare da Genova, ma sua moglie fino al giorno dell'omicidio provava a rassicurarlo: «Non ho paura di mio fratello»

Nuove accuse in aula contro i genitori di Alberto Scagni nel processo che lo vede imputato per l’omicidio della sorella Alice sotto casa a Quinto nel Genovese il 1 maggio 2022. Dopo le critiche sollevate dalla nonna 92enne della vittima e dell’imputato nei confronti di sua figlia e il genero, stavolta è il marito di Alice Scagni a puntare il dito contro la coppia, colpevole secondo lui di aver sempre giustificato i comportamenti violenti del figlio. «Io avevo paura che Alberto potesse fare del male a noi e amico figlio – ha detto Gianluca Calzona – ma dai genitori di Alice c’erano sempre giustificazioni sul suo comportamento». L’uomo ha raccontato come fossero iniziate le minacce, che all’inizio non sarebbero sembrate dirette «ma si capiva che lo erano. Quella sera – racconta Calzona – dopo che ho visto dalla finestra Alice che stava urlando ho chiamato i soccorsi e sono rimasto al telefono con loro. Non appena è arrivato mio padre, gli ho dato il bambino e sono sceso. Ho preso un coltello perché temevo che Alberto volesse entrare in casa per far del male a nostro figlio. Quella sera volevo portare fuori io il cane, ma Alice aveva insistito. Al mio “sei sicura?” ha risposto “non ho paura di mio fratello”. Le chiesi se pensasse che fosse sotto casa e lei mi ha detto “no” ed è uscita».

Calzona ha ricordato quando sua moglie fosse «il collante di quella famiglia. Faceva da tramite con tutti ogni volta che c’era un problema. Non voleva mai scontentare i genitori soprattutto la madre che la faceva sentire in colpa se si mostrava preoccupata per le condizioni di Alberto». Dopo i diversi episodi di minacce e violenze nei confronti della nonna, alla quale Alberto Scagni chiedeva ripetutamente dei soldi fino al punto di dar fuoco alla porta di casa e metterle le mani al collo, Calzona dice di aver insistito con la famiglia: «Continuavo a dire “denunciate?”. Ma loro giustificavano, dicevano che era malato». A quel punto l’uomo iniziò a preoccuparsi al punto da proporre a sua moglie di andare via da Genova. «Avevo ordinato un estintore e verificato se fosse possibile montare una telecamera sullo spioncino: i famigliari non volevano denunciarlo ma io lo avrei fatto se avesse provato a venire a casa nostra».

La fine tragica avviene il 1 maggio, quando Alice non disse nulla delle minacce a suo marito: «Sapendo che ero il più duro su questa cosa, il giorno prima non mi aveva neppure detto della porta bruciata a casa della nonna. Il giorno dopo l’omicidio mia suocera mi disse due cose: “Abbiamo sbagliato perché abbiamo protetto la nonna e non Alice” e poi “Perché l’hai fatta uscire?” da quella domanda ho capito che pensava sapessi delle minacce ma non ne sapevo nulla».

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