Europee 2024, l’eurodeputata Gancia (Lega): «Non è il momento dei veti, ma noi siamo diversi da Le Pen e Afd» – L’intervista

L’esponente del Carroccio auspica la fine di un alleanza tra popolari e socialisti per il governo dell’Europa, ma non condivide le posizioni dei partiti nazionalisti: «Spero in un centrodestra con meno cimeli del passato»

Europeista, liberale e federalista: è la Dop, la denominazione di origine politica, dell’eurodeputata Gianna Gancia. Fiera piemontese, come i vini che la sua famiglia, da quasi due secoli, produce nell’Astigiano. Milita nella Lega dal 1991 e, di quei tempi, ricorda ancora le lunghe telefonate con Umberto Bossi, il quale la chiamava per convincerla a candidarsi in prima persona. Ci è riuscito, anche grazie alle posizioni liberali e federaliste incarnate dal partito con il Sole delle Alpi nel simbolo. Valori che Gancia ravvisava anche nella leadership di Roberto Maroni e ai quali, oggi, non è disposta a rinunciare. Raggiunta da Open mentre si trova a Londra per un convegno, non si sbilancia su una sua possibile ricandidatura alle Europee del 2024. Ma accetta di farsi intervistare sul tema della giornata politica di oggi, 3 luglio, con il botta e risposta a distanza tra Antonio Tajani e Matteo Salvini riguardo le alleanze che si stringeranno dopo il voto del prossimo giugno. Il leader di Forza Italia ha posto un veto agli accordi con le forze della destra europea, come il Rassemblement National di Marine Le Pen e l’Alternative für Deutschland in Germania. Il segretario del Carroccio, invece, ha respinto ogni diktat. Un paio di giorni fa, in un’intervista al Corriere, aveva già rimarcato il sodalizio con il Rassemblement National: «Nei fatti, Le Pen ha le stesse posizioni della Lega in Italia. Aggiungo che lei, a differenza di altri, non ha mai insultato l’Italia».


Gancia, il tema delle alleanze diventerà sempre più centrale nel dibattito politico, anche nazionale. Negli ultimi giorni ne abbiamo avuto un assaggio, con Tajani che ha chiuso a una coalizione con il gruppo Identità e democrazia, mentre Salvini ha chiesto di non mettere veti.


«È normale che si inizi a ragionare sulle alleanze, ma in questo momento è prematuro trarre delle conclusioni, anche perché la maggioranza parlamentare si forma sulla base dell’esito elettorale. Per di più, ci sono ancora diversi Paesi che devono andare al voto per rinnovare i propri governi. Comunque, alle Europee del 2024 andremo alle urne come singoli partiti, non come coalizioni. Per quanto concerne le alleanze futuro nell’Europarlamento, la discussione dovrà avvenire prima di tutto all’interno della Lega, con l’organo competente che è il Consiglio federale. Ma ribadisco, adesso è ancora prematuro».

L’orizzonte politico della Lega in Europa, nel 2024, è per forza legato al gruppo Identità e democrazia? Oppure esistono differenze importanti tra voi e i partiti con cui, attualmente, siete alleati, come il Rassemblement National e l’Alternative für Deutschland?

«Ci sono dei problemi dal punto di vista strutturale. Noi leghisti nasciamo federalisti e liberali, non abbiamo la matrice nazionalista di Marine Le Pen. Non siamo antieuropeisti come l’Afd, anzi: siamo ontologicamente federalisti. Nella nostra visione c’è l’Europa dei territori federati. Non bisogna dimenticare che la Lega è nata per l’autonomia dei territori e per la costituzione di essi in una federazione. Siamo diversi, sia da Le Pen sia dall’Afd».

Ci sono, d’altro canto, molteplici affinità tra Lega e Partito popolare europeo?

«Sicuramente abbiamo molte posizioni comuni con i popolari. Per esempio, combattiamo insieme il fronte della pura ideologia green. Contemporaneamente, su diversi provvedimenti abbiamo votato in maniera opposta rispetto a Rassemblement National e Alternative für Deutschland. Nei resoconti delle votazioni al Parlamento europeo sono emerse, altroché se sono emerse le differenze tra noi e loro».

Sembra auspicare nella fine di un’alleanza con queste due forze della destra che fanno parte di Identità e democrazia.

«Io auspico un centrodestra più liberale e con meno cimeli del passato. Un centrodestra che contribuisca a realizzare un’Europa confederata e che sogni un futuro senza nazionalismi. Purtroppo ancora oggi, ad esempio per la questione della guerra in Ucraina, l’Europa ha mostrato di non avere una posizione geopolitica unitaria, forte. O ancora, sulle questioni migratorie, sono proprio i nazionalismi a non permettere di raggiungere risposte comuni, indispensabili per quell’identità europea alla quale dovremmo ambire».

Tajani ha posto un veto alle alleanze con il Rassemblement National e l’Alternative für Deutschland. È d’accordo?

«No, perché nonostante quanto detto pochi istanti fa, sono convinta che sia sbagliato mettere veti a priori come sta facendo Tajani. Anche perché non ha basi numeriche, in termini elettorali, sulle quali ragionare. Tutti i liberali auspicano un centrodestra senza nazionalismi, è vero, ma è altrettanto vero che quando si va al governo, anche le posizioni più estreme si ammorbidiscono. L’abbiamo visto in Italia, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: finché era all’opposizione, era campionessa di euroscetticismo. Oggi, possiamo dirlo senza timore di smentita, ha assunto posizioni nettamente differenti. Dunque, chi può dire da qui a un anno cosa succederà all’interno dei partiti europei. Il “no” di Tajani a priori non è corretto. Certo, tornando al tema degli auspici, il mio primo desiderio è che nel prossimo Parlamento europeo non ci sia bisogno di stringere un’alleanza con i socialisti».

Ultima domanda sul Mes: da liberale di centrodestra, non pensa sia opportuno ratificare l’accordo di modifica del trattato?

«Il Mes va ratificato. Punto. E ratificarlo non vuol dire accedervi. Lo dico nonostante io sia contraria alla spesa pubblica improduttiva, da sempre: poiché spesso si tratta di debito, i soldi pubblici vanno maneggiati con estrema cautela. Però è giusto ratificarlo perché siamo in un contesto economico-politico europeo e gli altri Paesi aspettano solo noi».

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