I viaggi di Meloni e Tajani in Egitto, le pressioni Usa e il ruolo dell’Eni: così la grazia a Zaki è diventata realtà

Palazzo Chigi rivendica il lungo lavoro sotto traccia per arrivare alla liberazione dello studente. Ma i fattori in campo sono stati diversi. Flashback su 9 mesi di rapporti nell’era Meloni-Al Sisi

Il governo Meloni brinda alla fine dell’epopea giudiziaria per Patrick Zaki, con la grazia concessagli da oggi dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, rivendicando che l’esito della saga è il frutto del lavoro svolto sotto traccia dall’esecutivo negli scorsi mesi. Mentre la premier Giorgia Meloni diffonde un video-messaggio ad hoc per ringraziare al-Sisi per il «gesto molto importante», ma anche l’intelligence italiana e la diplomazia di entrambi i Paesi, anche gli altri ministri interessati mettono il cappello sulla liberazione dello studente. «Grazie alla politica estera del governo abbiamo dato un contributo decisivo per liberare questo giovane studente. Risultati concreti attraverso il lavoro ed una credibilità internazionale», ha scritto su Twitter poco dopo la diffusione della notizia il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Sulla stessa lunghezza d’onda, ma più ruvido verso chi non credeva nel possibile buon esito della vicenda, il titolare della Difesa Guido Crosetto. «Non è un atto casuale – scrive il ministro meloniano – È il frutto di lavoro, di rapporti, di serietà, di considerazione, di diplomazia, di senso delle Istituzioni, di rispetto. Perché c’è chi passa le giornate a criticare e c’è chi lavora». E a chi gli risponde sarcastico che la grazia di Zaki sarebbe dunque tutto merito suo ribadisce: «No, ha fatto tutto un insieme di persone, in primis il Presidente del Consiglio ed il Ministro degli Esteri, che ogni giorno iniziano la loro giornata con l’idea di servire la nazione cercando di risolvere problemi». E fonti di governo, nel caso il messaggio non fosse chiaro, fanno sapere all’Ansa che la grazia concessa a Patrick Zaki è frutto «di una lunga e costante trattativa tra il governo italiano e quello egiziano, che ha visto protagonisti il premier Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha svolto diverse missioni in Egitto in questi mesi, e l’Aise, l’agenzia di intelligence che si occupa dell’estero».


Fair play e polemiche

A gioire per la grazia accordata dal Cairo a Zaki, che dovrebbe essere liberato oggi stesso, è l’intero arco parlamentare. Da destra a sinistra, la notizia è stata accolta con sollievo, anche se più di uno ricorda ancora come da al-Sisi non sia mai arrivata reale collaborazione sull’altro grande caso che ha angosciato il Paese, l’assassinio di Giulio Regeni. «La grazia a Patrick Zaki è una bella notizia. In tante e tanti ci siamo mobilitati in questi anni per la sua libertà. Speriamo di riabbracciarlo presto e continueremo a lottare anche per le altre persone ingiustamente imprigionate e la piena verità e giustizia per Giulio Regeni», ha scritto sui social la segretaria del Pd Elly Schlein, da sempre mobilitata sulle due cause. Mostra fair play il leader di Azione Carlo Calenda, che rivolge le sue congratulazioni alla premier Meloni, al governo tutto e a Tajani «per il lavoro svolto». Ben più scettico il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, che in una nota si scaglia contro la brutalità del regime del Cairo, e le complicità del governo Meloni. «Siamo contenti che Patrick Zaki torni libero, possa tornare a Bologna e sposarsi con la sua compagna. La grazia di al-Sisi però è la conferma di un sistema feudale che dispone della vita delle persone e che conferma in maniera drammatica che questo è un regime che si basa sulla violazione dei diritti umani per determinare il controllo sociale sulla popolazione. Violazione dei diritti umani su cui il governo italiano non fa nulla, anzi continua negli affari con l’Egitto. Noi continuiamo a invocare verità per Giulio Regeni, perché vogliamo vedere gli assassini di Giulio davanti a un tribunale». Attacchi subito respinti al mittente dallo stesso Crosetto, che al leader verde ricorda come l’istituto della grazia faccia parte anche del sistema italiano, difficilmente inquadrabile come “feudale”. «Bonelli deve essere sempre contro a prescindere. E quando non trova ragioni, se ne inventa. Solo che in questo caso lo fa dimenticando l’art. 87, comma 11, della Costituzione italiana. Che prevede la Grazia», è il rimbrotto.


Le missioni del governo, il ruolo dell’Eni e le pressioni americane

Ma quanto ha inciso davvero il pressing diplomatico italiano nella decisione del presidente egiziano? Difficile stabilirlo con esattezza, ma è certo che dal suo insediamento lo scorso autunno il governo Meloni abbia rialzato d’intensità i livelli di collaborazione con Il Cairo, sul piano economico-strategico in primis. Quello con al-Sisi è stato in effetti uno dei primissimi incontri internazionali della premier dopo il suo insediamento, lo scorso 7 novembre. La missione del nuovo governo a Sharm el Sheikh era dettata dall’agenda globale, certo, con il summit Cop 27 ospitato nella località sul Mar Rosso. Ma la visita di Meloni era tutt’altro che scontata, mancando un premier italiano in Egitto da oltre 7 anni, da quel maledetto 3 febbraio 2016 appunto in cui fu rinvenuto lungo un’autostrada il corpo martoriato di Regeni. L’incontro fu ricco e promettente: durò oltre un’ora, e diede il la a un nuovo slancio – come avrebbero sottolineato entrambi i governi – nelle relazioni Italia-Egitto.

Nei mesi successivi il ministro Tajani si è quindi recato ben due volte in Egitto, a gennaio e poi a marzo 2023. E le richieste di gesti concreti sulla sorte di Zaki così come sulle indagini su Regeni hanno sempre fatto parte dei conciliaboli, in parallelo al rafforzamento della cooperazione sul fronte economico, della difesa e degli approvvigionamenti energetici. Quest’ultimo è stato forse il driver più forte del rinnovato interesse italiano per l’Egitto, nel quadro dei timori per la sicurezza energetica dopo la chiusura del grande canale russo con Gazprom a seguito della guerra in Ucraina. Braccio «operativo» della politica estera italiana, da questo punto di vista, ovviamente l’Eni, che nel Paese è presente dal 1954, dove opera attraverso la controllata IEOC, principale produttore del Paese con una produzione stimata di circa 350.000 barili di olio equivalente al giorno. A gennaio, proprio alla vigilia della prima visita di Tajani, la società del cane a sei zampe ha annunciato con grande soddisfazione la scoperta di un nuovo giacimento di gas, nella concessione «Nargis Offshore Area», nel Mar Mediterraneo orientale, al largo dell’Egitto. E a maggio l’ad di Eni Descalzi sembrò quasi prefigurare l’esito positivo della vicenda-Zaki, quando appena riconfermato alla guida del colosso di Eni pronunciò queste parole alla convention di Forza Italia: «L’Egitto ci ha aiutato rinunciando ai suoi carichi quest’estate per mandarli in Italia per riempire gli stoccaggi. Questi sono Paesi che se dai ricevi». Parole che irritarono la segretaria del Pd Elly Schlein, che ne chiese conto a Descalzi, come riportato allora su Open: «Ho sentito dire che da paesi come l’Egitto “se dai ricevi”. Voglio chiedere al governo se tra le cose da “dare per ricevere” è considerata anche l’impunità dei torturatori e degli assassini di Giulio Regeni, un ricercatore italiano ed europeo, per il quale ancora dopo anni portiamo il braccialetto al polso per chiedere verità a giustizia, o per la liberazione di Patrick Zaki, o i diritti calpestati delle donne e degli uomini egiziani incarcerati per il legittimo dissenso».

Ma a fare pressioni sul regime di al-Sisi perché fosse liberato lo studente dell’Università di Bologna, così come altri prigionieri politici o attivisti sotto indagine, sono stati nei mesi scorsi anche gli Usa, che sostengono l’Egitto con cruciali investimenti e commesse militari. Ancora questa mattina, il Dipartimento di Stato aveva chiesto formalmente al Cairo di passare dalle parole ai fatti, all’indomani della grande preoccupazione per la condanna a tre anni. «Invitiamo le autorità egiziane a rilasciare immediatamente il signor Zaki, insieme ad altri prigionieri al momento detenuti per accuse legate all’esercizio di libertà fondamentali», aveva detto alla testata araba Al-Monitor un portavoce di Washington. Un forcing diplomatico che ha avuto infine buon esito. Anche se nella comunicazione della grazia, Il Cairo sembra addurre ragioni di mera politica interna. «Il presidente Abdel Fattah al-Sisi usa i suoi poteri costituzionali ed emette un decreto presidenziale che concede la grazia a un gruppo di persone contro le quali sono state pronunciate sentenze giudiziarie, tra cui Patrick Zaki e Mohamed El-Baqer, in risposta all’appello del Consiglio dei segretari del Dialogo Nazionale e delle forze politiche», ha scritto su Facebook un componente del Comitato per la grazia presidenziale egiziano, Mohamad Abdelaziz.

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