Patrick Zaki riassapora la libertà: «I primi progetti in Italia? Un piatto di pasta, una gita al mare e l’abbonamento al Bologna»

Lo studente rilasciato questa mattina racconta le ore tormentate passate tra la condanna e la grazia di al-Sisi: «Ma non so la ragione»

Patrick Zaki è uscito questa mattina dal commissariato di Mansura ed è ora, definitivamente, un uomo libero, in seguito alla decisione del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi di concedergli la grazia. «Ora sono libero, penso a tornare in Italia il prima possibile, speriamo che avvenga presto», aveva detto appena uscito dalla Direzione di polizia ai cronisti che lo attendevano sul posto. Ore dopo, riassaporata l’aria della libertà, Zaki si lascia andare e confessa i suoi sogni e i suoi primi progetti per il prossimo futuro. «Non ho ancora fatto un piano preciso», racconta Zaki alla giornalista del Corriere della Sera Marta Serafini, quando gli chiede se prevede di partire subito per il Paese dove ha i sui studi, gli amici, la fidanzata. «So solo che voglio essere in Italia e a Bologna, il prima possibile. Voglio rivedere tutti i miei colleghi dell’Università, i miei compagni, voglio riabbracciare i miei amici. Ho così tanto tempo da recuperare. Come ci siamo detti subito dopo la laurea, voglio continuare il mio percorso accademico, voglio lavorare e scrivere». Una città intera lo aspetta, dopo i lunghi mesi di angoscia per il suo destino, le ore più buie di martedì, dopo la condanna a tre anni di carcere, e il tripudio di gioia di ieri, dopo la notizia della grazia presidenziale. Che effetto fa sapere che lo attende l’abbraccio di Bologna? «È quello che più di tutto mi scalda il cuore. Sapere che tornerò in piazza Maggiore, dove organizzeremo una grande festa. È lì che voglio essere, in una città che mi ha fatto sentire tutto il suo affetto e che mi ha dato così tanto in questi anni, anche da lontano». «Conto di essere lì nel giro di due giorni», precisa a Francesca Caferri di Repubblica, cui confida che tra i suoi piani in visita del prossimo anno c’è quello di «comprare l’abbonamento per la prossima stagione alo stadio: sarò lì a tifare Bologna, potete contarci». Prima però, Zaki penserà a cose ancor più importanti e da troppo tempo attese, dice ancora al Corriere: «Mangiare un piatto di pasta. Andare al mare con Reny. È un elenco lunghissimo. Ma avremo tempo. Prima di tutto però voglio abbracciare la mia professoressa Rita Monticelli».


Dalle stalle alle stelle: le ore convulse vissute da Zaki

Con le giornaliste italiane che lo hanno raggiunto telefonicamente dopo la sua liberazione, Zaki riavvolge anche il nastro delle ultime, tesissime 48 ore: la condanna, il nuovo fermo, il buio di informazioni, e appena un giorno dopo la grazia. «Quando mi hanno portato di nuovo via, mi sono sentito perduto. Nessuno poi mi ha detto cosa stesse capitando. Come l’altra volta. Ho avuto paura, sarebbe stupido negarlo. Anche se sei un attivista e sai cosa rischi, l’idea di tornare in carcere, di restare confinato per mesi è stata terrorizzante», ricorda Zaki parlando del momento in cui è arrivata la condanna del tribunale a tre anni di carcere per «diffusione di notizie false» (per alcuni post sulle persecuzioni in Egitto ai danni della minoranza copta, in particolare). Eppure la speranza non lo ha mai abbandonato: «Ho capito che si stava muovendo qualcosa. Sapevo che i miei avvocati e i miei colleghi della Eipr (la ong con cui Patrick collabora) stavano lavorando pure loro. Ed ero consapevole che tutta la mia famiglia non mi avrebbe abbandonato, come del resto ha sempre fatto. E allora ho pensato che dovevo continuare a lottare e rimanere saldo». Una fiducia ben riposta, se è vero che 24 ore dopo il suo destino ha preso la piega opposta: quella della libertà, piena e definitiva, per decisione di al-Sisi. Un intervento le cui ragioni profonde non sono state rese note dal regime del Cairo. E Zaki, ne è stato messo a conoscenza dalle autorità? «Noi, nessun messaggio dal governo», dice lo studente-attivista a Caferri. «Io posso solo sperare, voglio sperare, che il mio non sia un caso isolato. Sapere che anche Mohamed al Baqer era stato graziato è stata una notizia bellissima. Zaki però assicura che per tutto il tempo in cui è stato detenuto è stato trattato bene. E adesso, si lascia andare, «sto bene, davvero: sollevato e rilassato. Adesso è finita davvero».


I ringraziamenti

Zaki sa che tante, tantissime persone si sono mobilitate per lui: chi con una lettera, chi con una petizione, chi con messaggi o telefonate, e chi ancora con il silenzioso lavorio diplomatico. E chiude perciò le sue prime interviste ai giornali italiani con una serie di ringraziamenti. A chi? «Un elenco infinito. L’ambasciata italiana tutta, tutti i delegati diplomatici che sono stati presenti a tutte le udienze, l’ambasciatore Michele Quaroni e il primo segretario Marco Cardoni. Ma anche la società civile, Amnesty International che si è battuta per me, l’Università di Bologna, voi giornalisti che non mi avete lasciato solo e avete tenuta alta l’attenzione», dice Zaki al Corriere. «È un elenco lunghissimo e sicuramente dimentico qualcuno (nell’elenco rapidamente svolto non c’è traccia del governo Meloni, ndr). Ma una volta in Italia ringrazierò tutti di persona, promesso». E a Repubblica, che nei mesi scorsi ha ospitato alcuni suoi interventi, Zaki riserva un posto speciale nel cuore: «Da quando scrivo per Repubblica mi sento un giornalista anche io: la vostra redazione insieme a Amnesty International è diventata parte della mia famiglia. Non vedo l’ora di essere lì per ringraziarvi di persona».

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