La rivolta della Wagner vista dal Cremlino secondo la ricostruzione del Washington Post: «Putin rimase paralizzato, per ore fu incapace di reagire»

Il quotidiano statunitense cita fonti dell’intelligence ucraina e europea. Per Peskov solo illazioni “senza senso”

Il presidente russo Vladimir Putin sembra essere rimasto «paralizzato» ed essere stato «incapace di agire con decisione» davanti alla rivolta dei mercenari del gruppo Wagner che lo scorso 24 giugno ha minacciato la stabilità del suo regime. E ciò malgrado fosse stato avvertito in anticipo del possibile ammutinamento della milizia. A riferirlo sono diversi fonti dell’intelligence ucraina e dell’Unione Europea citate dal Washington Post. Secondo quanto riferito, il presidente russo sarebbe stato avvisato dai servizi di sicurezza russi su un possibile attacco contro il Cremlino da parte dei mercenari del gruppo Wagner con un preavviso di «almeno due o tre giorni» rispetto all’effettivo inizio della sommossa. L’intelligence russa, in quelle ore, avrebbe elevato le misure di sicurezza negli edifici chiave e intorno alle strutture strategiche, incluso il Cremlino, distribuendo armi e dispiegando agenti di sicurezza, senza però mettere in campo delle «azioni radicali» per prepararsi alla possibile rivolta, secondo quanto riferito dalle fonti ucraine ed europee.


Quel che non torna della reazione del Cremlino

L’intelligence europea, inoltre, ha riferito al Washington Post che non risulterebbero esserci stati ordini di alzare la guardia da parte del Comando Supremo della Russia nelle prime ore della rivolta del gruppo Wagner. Questo significherebbe che i vertici della sicurezza locale e militare non avrebbero opposto una forte resistenza alle truppe dei mercenari. Secondo quanto riferito da un alto funzionario della sicurezza ucraino, inoltre, «il sistema autoritario è formato in modo tale che senza un comando molto chiaro da parte della leadership, le persone di grado inferiore non possono agire in alcun modo». Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha però replicato alla ricostruzione fornita dalla testata Usa sulla base di informazioni dell’intelligence occidentale, bollandola come «senza senso».


La marcia verso Mosca, l’improvviso dietrofront e l’accordo tra il Cremlino e Prigozhin mediato da Lukashenko

I mercenari guidati Yevgeny Prigozhin hanno tenuto il mondo in sospeso lo scorso 24 giugno, nelle lunghe ore in cui hanno travalicato il confine tra Ucraina e Russia, preso il controllo del quartier generale militare russo a Rostov-sul-Don, e risalito il Paese fino a poche centinaia di chilometri da Mosca. n crescendo inquietante, fermatosi sul far della sera con l’improvviso dietrofront, a seguito dell’accordo raggiunto tra il Cremlino e Prigozhin, apparentemente mediato dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko. L’accordo prevedeva che il capo dei mercenari del gruppo Wagner sarebbe stato trasferito in Bielorussia in cambio dell’annullamento per lui e i suoi mercenari dei procedimenti penali aperti per sedizione. Secondo quanto ricostruito, tra gli obiettivi della rivolta vi sarebbe stato in particolare quello di estromettere dai loro ruoli i vertici militari russi, più volte attaccati e criticati da Prigozhin – in particolare il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore dell’esercito Valery Gerasimov.

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