Caso Open, la Corte costituzionale dà ragione a Renzi: «Email e Whatsapp non potevano essere acquisiti senza autorizzazione del Senato»

Sui social, il leader di Italia Viva esulta: «Oggi è il giorno del trionfo del diritto» e torna ad attaccare i pm di Firenze: «Hanno violato la legge»

Si chiude un’altra pagina del conflitto tra i magistrati della procura di Firenze e il leader di Italia Viva. Con un comunicato, l’ufficio stampa della Corte costituzionale ha fatto sapere di aver accolto il conflitto di attribuzione, proposto dal Senato, nei confronti dei pm fiorentini. Il tema al centro dello scontro giurisprudenziale era l’acquisizione delle conversazioni per mail e Whatsapp che coinvolgevano Matteo Renzi, all’epoca dei fatti senatore, e suoi interlocutori. «La procura non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e Whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi», si legge nella nota della Consulta. Eppure, i pm decisero di utilizzare le conversazioni nell’ambito del procedimento penale che gravitava attorno alla Fondazione Open. «Tali messaggi», ha spiegato la Corte, «sono riconducibili alla nozione di “corrispondenza”, costituzionalmente rilevante e la cui tutela non si esaurisce, come invece sostenuto dalla procura, con la ricezione del messaggio da parte del destinatario, ma perdura fin tanto che esso conservi carattere di attualità e interesse per gli interlocutori».


Dunque, una volta arrivati sul cellulare degli interlocutori, i messaggi di Renzi conservavano quel carattere di riservatezza dedicato alle comunicazioni di un Parlamentare. «Gli organi investigativi sono abilitati a disporre il sequestro di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet», ha aggiunto la Consulta. «Ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro. Ciò a prescindere da ogni valutazione circa il carattere “occasionale” o “mirato” dell’acquisizione dei messaggi stessi». Appresa la notizia, Renzi ha esultato sui social: «Avevo fortemente voluto che la vicenda finisse in Corte, non per il processo, ma per un punto di principio e di diritto. Io sostenevo che il comportamento dei pm di Firenze violasse la Legge, e la Cassazione ci ha dato ragione cinque volte, e che violasse anche la nostra Costituzione. La Corte costituzionale ha accolto il ricorso, dandoci ragione e annullato alcuni provvedimenti dei pm di Firenze».


Il senatore ha ripetuto il concetto, riportando i cognomi dei magistrati che, da tempo, indagano su di lui: «Le indagini dei pm Turco e Nastasi sono state bocciate per cinque volte dalla Corte di cassazione e adesso anche dalla Corte costituzionale. Dalla parte della legalità ci stiamo noi, non questi due pm». Renzi ha voluto ringraziare anche i suoi colleghi di Palazzo Madama, «che hanno votato in Aula per sollevare il conflitto, sfidando l’opinione pubblica in nome del diritto». E poi ha sentenziato: «Verrà il giorno in cui la classe dirigente del Paese rifletterà serenamente su questa indagine assurda, nata contro di me, contro le persone che mi stanno vicine e soprattutto contro i fatti. Verrà quel giorno ma non è questo. Oggi è solo il giorno del trionfo del diritto. Un abbraccio sincero a chi in questi anni mi ha dimostrato il suo affetto e la sua vicinanza: vi voglio bene».

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