Gli arbitri, le squalifiche, la società che non lo tutela: José Mourinho pensa all’Arabia Saudita

Il tecnico giallorosso: in Italia mi sono sentito aggredito. Hanno violato la mia libertà

Il suo no all’Arabia Saudita non è definitivo. Perché José Mourinho in Italia non si sente tutelato. L’allenatore della Roma torna a criticare l’arbitro Taylor per la finale di Europa League. Ma nell’intervista che rilascia al direttore del Corriere dello Sport Ivan Zazzaroni dice anche che è pronto ad andarsene. «In Italia mi sono sentito aggredito, hanno violato la mia libertà di uomo, la mia libertà di uomo di calcio, la mia libertà non di grande allenatore, perché in queste situazioni non ci sono grandi o piccoli allenatori, siamo tutti uomini. Qui non mi sento più a mio agio. Ho paura di ricevere altre squalifiche, ho paura di dover tornare a sentire tutto quello che ho ascoltato o letto in questi due anni», dice.


“Fucking disgrace”

Non c’è molta diplomazia nelle sue parole: «Se mi dici José, parliamo di Budapest, ci sto. Però se mi chiedi di parlare di Italia, di sconfitte politiche, di opinioni espresse dalla gente e anche di offese ricevute, la cosa mi disturba. Ho detto paura, forse paura è eccessivo, fastidio è meglio. Penso che a livello istituzionale avrebbero dovuto trattarmi diversamente, da uomo di grande esperienza internazionale, uno che ha allenato in Inghilterra, in Spagna». Sull’arbitro Taylor e quel “fucking disgrace” Mou dice la sua: «Taylor non era lì, non c’era. Taylor era rimasto dentro lo stadio e il giorno dopo l’hanno trovato all’aeroporto. C’erano gli altri, non Taylor, c’erano il quarto uomo, gli assistenti, Rosetti e Howard Hebb, il direttore tecnico degli arbitri della Premier. Taylor non c’era. Finito tutto, rientriamo nello spogliatoio, scendiamo in garage e nel garage arriva il gruppo arbitrale.


Gli arbitri

Il racconto prosegue: «Con Webb ho un rapporto buono, come con Rosetti. Hanno entrambi arbitrato delle mie partite, Webb addirittura la finale di Champions con l’Inter a Madrid. So di non essere stato elegante, ma non ho insultato nessuno. “Fucking disgrace” è molto simile all’italiano ‘cazzo!’, un’esclamazione, uno sfogo, o al portoghese ‘foda pra caralho‘. Sono andato da Rosetti e gli ho detto: ‘arbitro, io lo chiamo così, è rigore o non è rigore?. Rosetti ha fatto quello che di solito fanno gli arbitri, non mi ha risposto. Ho ripetuto la domanda a Webb, lui mi ha messo la mano sulla spalla e ha detto ‘José, sì, è rigore’. Webb ha fatto quello che mi sarebbe piaciuto avesse fatto Taylor».

Le scuse non arrivate

E questo perché «se Taylor, o qualcuno al posto suo, dopo la partita fosse venuto da noi, nello spogliatoio del pianto, e avesse detto “ho sbagliato, abbiamo sbagliato, mi dispiace”, non solo sarebbe finita lì, ma lui avrebbe avuto il nostro rispetto e la nostra ammirazione. Sbagliamo tutti, forse durante quella partita ho sbagliato anch’io. Continuo a pensare una cosa: Taylor è bravo, per non dire molto bravo, positivo anche il rapporto che ho avuto in Inghilterra, mi sembra un uomo perbene, io non ho mai messo in dubbio la sua onestà. L’unica cosa che dico e dirà sempre è che era rigore e con quel rigore lì la Roma avrebbe potuto vincere. Prima di quel rigore la sua direzione non mi era piaciuta per niente, non mi erano piaciute le sue scelte tecniche, disciplinari, però continuo a pensare che sia un arbitro bravissimo e se la prossima stagione lo riavremo, nessun problema, sono sincero».

Il messaggio dall’amico dell’Uefa

Mourinho parla anche dell’aggressione dei tifosi della Roma a Taylor, il giorno dopo all’aeroporto: «Io non ho nulla a che vedere con quell’incidente. È stata la reazione di un gruppo di tifosi, io non c’entro affatto. Con mia grande sorpresa, due giorni dopo mi è arrivato un messaggio di un amico dell’Uefa – in questi anni mi sono fatto amici ovunque, non solo nemici -. ‘Amico mio’, mi ha scritto, ‘tu sei un grande del calcio, però ti do un consiglio, censura pubblicamente il comportamento dei tifosi della Roma all’aeroporto, te lo dico perché ti sono amico’. La mia risposta è stata: se l’Uefa o Taylor chiedono scusa ai tifosi della Roma, io critico il comportamento all’aeroporto e chiedo scusa. Subito dopo sono andato al club e ho detto: da oggi e fino all’uscita della sanzione, che è già pronta, sarò io il focus di un arbitraggio triste e di un comportamento triste dei tifosi in aeroporto, oltre che del mio atteggiamento nel garage.

Il mancato appoggio della società

Mou chiama in causa anche la società giallorossa: «Adesso ho bisogno del vostro sostegno e di una comunicazione forte. Se mi chiedi quale sia stata in due anni e due mesi di Roma la cosa che mi ha fatto sentire più fragile, rispondo che non è stata la partenza di Mkhitaryan, aver perso un giocatore che mi piace tanto e aver giocato un anno e mezzo con solo 4 difensori centrali quando è normale averne 6. La cosa più triste è stata non essere appoggiato dalla società in una situazione del genere. Sconterò le 4 partite, non riesco a guardare l’Uefa in modo negativo, saranno quattro partite in cui mi sentirò un tifoso della Roma».

Il no all’Arabia

Infine, le offerte dall’Arabia. L’Al Hilal da una parte, l’Al Ahli dall’altra. «Ci ho pensato, sì. Prima di andare all’incontro ho informato la proprietà chiarendo che non avevo intenzione di accettare. A casa ho detto esattamente la stessa cosa. Per un lato mi sentivo prigioniero della parola data ai giocatori a Budapest e ai tifosi dopo lo Spezia, mimando la permanenza. Ma se mi chiedi se non ho accettato soltanto per questo motivo, rispondo di no, non solo per questo. Non è definitivo, non lo è. In passato rifiutai la proposta più incredibile che un allenatore abbia mai ricevuto quando la Cina mi offrì la panchina della Nazionale e di un club nel quale avrebbero giocato tutti i nazionali. Una proposta economicamente indecente, fuori dal mondo e da tutti i parametri».

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