Calciomercato 2023, così l’Arabia Saudita si prende il calcio europeo

Riad punta ad acquisire centralità anche nel calcio per emulare la parte più glamour dello stile di vita occidentale (e scampare così al rischio di nuove primavere)

L’Arabia Saudita sta riscrivendo la storia del calcio a suon di milioni: quelli degli ingaggi, decisamente sproporzionati rispetto a quelli europei, con cui riesce ad appropriarsi dei migliori talenti nelle squadre della Saudi Professional League. Il calciomercato 2023, scrive il Sole24Ore, passerà alla storia come quello dell’Arabian Football: il modo in cui l’identità saudita e panaraba si sta affermando attraverso il pallone. I principali team sauditi (Al-Hilal, Al-Nassr, Al-Ittihad e Al-Ahli) sono un mese fa diventati anche formalmente proprietà del fondo sovrano Pif (ovvero quello per gli investimenti pubblici dell’Arabia Saudita), che ne ha rilevato il 75%.


La strategia

Il Public Investment Fund è lo strumento col quale Riad ha compiuto l’Opa sul golf mondiale, e attraverso cui cerca di accaparrarsi anche tennis e Formula 1. E ovviamente, il calcio, nell’ambito di una strategia, secondo il Sole24Ore, che mira così a consolidare la sua centralità nel mondo dell’intrattenimento, emulando la parte più glamour dello stile di vita occidentale per scongiurare il rischio di nuove primavere. Se le mire a lungo termine consistono nel rendere più competitiva la Saudi League e ospitare uno dei prossimi campionati mondiali, prosegue il quotidiano, potrebbero essere messe in atto ulteriori manovre: dalla creazione di una Lega araba che abbracci l’Arena Mena all’organizzazione di una SuperLega globale.


Mutamenti nella Premier League

Tutto questo potrebbe ovviamente andare a discapito del Vecchio Continente, privato dei giocatori migliori e con fondi sempre più esigui. Un contraccolpo che la massima serie del campionato inglese di calcio sembra già accusare: la Premier League annovera ormai 10 team (come Arsenal, Chelsea, Liverpool e Manchester United, per citarne alcuni) interamente o parzialmente proprietà di investitori statunitensi. Ad avere proprietari inglesi sono rimasti solo Brentford, Brighton e Hove Albion, Tottenham Hotspur e Luton Town. Questo è il risultato di una serie di problemi economici, causati principalmente dalla spietata concorrenza interna per accedere alla Champions o alla prima divisione, che hanno gonfiato a dismisura commissioni di trasferimento e stipendi.

I debiti degli altri

E i debiti: secondo i dati dell’Alliance Fund, il debito netto totale delle squadre della Premier League è stato di 4.1 miliardi di sterline nel 2021. Un aumento di duecento milioni rispetto all’anno precedente. «Come se il costo per rimanere competitivi non fosse già abbastanza alto, molti stanno ancora lottando per superare la grave buca finanziaria che ha visto quasi svanire i ricavi delle partite durante la pandemia», ha spiegato qualche mese fa Ian Crawford, ad dell’Alliance Fund. Dunque adesso due terzi dei club sarebbero in perdita.

La situazione in Ue

Il problema però si estende all’intera Unione Europea, in posizione intermedia tra la Premier League post Brexit e le potenze emergenti, e con grande bisogno di incrementare i ricavi. Obiettivo che potrebbe raggiungere, ipotizza il Sole24Ore, attraverso una nuova competizione nell’Ue che metta insieme i brand storici. Un torneo con 24 squadre in due gironi da 12, per esempio, per assegnare il titolo di Campione Ue. Bisogna tuttavia ammettere che, ex post, è difficile quantificare quanto un campionato del genere potrebbe valere: in futuro le entrate totali potrebbero ridursi in maniera drastica, in mancanza di campioni e di interventi di tutela.

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