Lettera del papà di una figlia violentata: «Cara ragazza di Palermo preparati, ora sei sola»

A scriverle su Repubblica è il padre della ragazza violentata la notte di Capodanno a Primavalle. «Il prezzo da pagare a esporsi in un processo per stupro è enormemente superiore a ogni possibile vantaggio personale»

Il padre della ragazza della vittima dello stupro di Capodanno a Roma ha scritto una lettera, pubblicata oggi su Repubblica, rivolta alla 19enne violentata dal branco a inizio luglio a Palermo. «Cara ragazza, anonima, di Palermo, sono il padre della vittima del noto “stupro di Capodanno” di Roma, e scrivo per appoggiarti. Devi reagire contro chi, sui social, ha farneticato che a «una come te» è «normale» che capiti. Ma ti scrivo anche per avvertirti: sei sola, perché gli altri non comprendono», spiega il padre. «Il prezzo da pagare a esporsi in un processo per stupro – aggiunge – è enormemente superiore a ogni possibile vantaggio personale: si fa per le figlie e i figli di tutti gli altri, in un mondo che consiglia il silenzio perché è una macchia essere vittime. Anche questo è uno stupro collettivo, e tu che ti sei esposta un po’ di più probabilmente già lo sai. Mia figlia aveva 16 anni quando è stata drogata e stuprata da almeno cinque individui. È inequivocabile, il referto ospedaliero certifica gravi lesioni. Ma per noi, come temo sarà anche per te, l’evidenza non basta: il gioco processuale sarà a dimostrare che tu, come lei, volevate esattamente quello che vi è successo. Uno stupro è un puzzle di tradimenti, e dobbiamo raccontare a tutti cosa significano nel quotidiano: il tradimento di chi ti usa come un oggetto e poi il tradimento di chi vede in te, vittima che ha deciso esporsi per tutti, una scocciatura di cui sbarazzarsi così come eri solo un contenitore usa e getta di sperma».


«Pensavi – racconta – di aver lasciato tua figlia minorenne in un luogo sicuro, dalla famiglia della sua migliore amica. Non immagini che l’adulto a cui l’hai affidata, senza avvisarti, la porta a una “festa” proibita in tempo di covid. Finché piomba una chiamata da una caserma dei carabinieri, prendi la macchina e corri oltre i limiti di velocità – multatemi se volete – e varchi quel portone di ferro per trovare un esserino annichilito, prostrato dall’enormità del sopruso. La abbracci ma senti che non c’è, è in una bolla tutta interna di sofferenza. La lasci alle deposizioni, dolorose ma necessarie. E ringrazio di nuovo l’Arma dei carabinieri – tutti quei militari, ma quanto è stato fondamentale ammettere a servire come Carabinieri anche delle donne! – per la delicatezza mostrata verso un essere spezzato».


«Le fobie, gli psicofarmaci, il peso che va e viene»

«Arrivano le fobie: mia figlia, cara ragazza di Palermo, è una tua coetanea normale, ma non riesce a entrare in un centro commerciale e corre di nuovo in casa perché si sente addosso tutti gli sguardi. I suoi amici non capiscono perché non accetta mai di andare a casa di qualcuno, ma si può raccontare cosa le è successo l’ultima volta che l’ha fatto? È una sé stessa che sa benissimo come tutto questo sia irrazionale ma è costretta a venire a patti con una sé stessa condizionata dal trauma. Servono i medici: “Stress post traumatico”, è ovvio, ma in quali fragilità si evolve non è scontato. Ancora meno lo sono le soluzioni: e allora si tenta un tipo di terapia e poi un’altra e una ragazzina deve sperimentare l’Efexor, il Prozac o il litio; la terapia risolutiva per l’ansia di una persona consapevole non è stata trovata. Il disagio dissimulato viene fuori per vie traverse: il profitto scolastico diventa un’altalena, come il suo peso, con oscillazioni fino a 12 chili in pochi mesi, per una ragazzina che ti chiede se sarà mai più capace di avere fiducia in un uomo, amarlo, costruire con lui una famiglia. Si dorme come i cetacei con mezzo emisfero cerebrale sveglio: nei momenti più bui mia figlia aveva evocato il desiderio di farla finita, e la notte si sente più sola».

«Ti siamo vicini ora che tutto dipende dalla Giustizia»

Poi la maturità, il collegio universitario, un nuovo crollo. Il sogno di una laurea in Giurisprudenza. Ma ancora le parole, due, da affrontare in una aula di tribunale. «Meglio minimizzare, ovvio: così, quelli che l’avevano portata dai Carabinieri in seguito a un’ovvia violenza, dichiarano che sembrava consenziente. Quelli delle droghe, compresa la “sigaretta bagnata” che l’ha stordita, depongono che il suo sport abituale era avere rapporti multipli. Mi chiede, ingenua, come possono inventarsi i facili costumi, visto che non li vedeva da un anno e proprio quello del lockdown? Gli stupratori – con la coerenza dei vigliacchi – non scelgono la ragazza più “provocante”, ma quella più indifesa. Ti siamo vicini, ora che tutto dipende dalla Giustizia. Quanto vale una sentenza? Quale futuro avrà la ragazzina che vuol fare il Procuratore per difendere le altre vittime? E quale messaggio riceverai tu, dopo esserti esposta sui social a nome di tutte, se invece di una decisione che riconosce il vostro coraggio di denunciare, avrete una formula che, in linguaggio giurisprudenziale, significa “facevi meglio a stare zitta, rompicoglioni”?»

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