Palermo e Caivano, il commento del Nyt: «Riflettere sull’atteggiamento dell’Italia nei confronti delle donne»

Un lungo articolo approfondisce la cultura dietro la violenza, e il ruolo dei social network

Alla fine di agosto, due ragazzine di 10 e 12 anni sono state violentate da un gruppo di adolescenti e da un 19enne al Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli. Pochi giorni prima, una ragazza di 19 anni ha accusato sette ragazzi di averla violentata al Foro Italico di Palermo. Vicende terribili, che hanno scosso l’opinione pubblica e sollecitato l’intervento della politica. Ma cosa ci dicono della società in cui viviamo? Della cultura che permea le strade del nostro Paese? Il New York Times prova a dare una risposta a questi interrogativi, in un lungo articolo dal titolo Rape Cases Seize Italy’s Attention and Expose Cultural Rifts. Che parte proprio da Caivano, anzi, da una piscina abbandonata, che la polizia locale ha identificato come uno dei luoghi dove le due minorenni sarebbero state reiteratamente abusate. Gaia Pianigiani e Gianni Cipriano, rispettivamente firma e fotografo del reportage, si sono recati personalmente nei luoghi che hanno fatto da cornice all’orrore. E hanno ripreso tutto: siringhe abbandonate, un materasso lurido, graffiti, macerie, pezzi di vetro. Tra quei rifiuti le violenze sarebbero andate avanti per molti mesi, prima di essere scoperte e raccontate. Imponendo riflessioni sulle periferie, sul maschilismo e sul ruolo dei social media. Ma anche mettendo in luce profonde diversità su come affrontare il problema della violenza sulle donne.


Ordine e disciplina

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, scrive il quotidiano statunitense, più che sui problemi legati al sessismo, ha scelto di concentrarsi sull’ordine e la legge, definendo i criminali «barbari». «Questo territorio sarà ripulito e presto vedrete i risultati della nostra presenza qui», ha promesso nel corso della sua visita a Caivano. «Non possono esserci zone apolidi in Italia – ha aggiunto -. E lo dico ai tanti Caivano d’Italia». Strade e parchi del Comune, un giorno prima della visita di Meloni, erano pieni di agenti di polizia. Dopo le violenze, i funzionari locali hanno dichiarato la loro intenzione di intensificare la presenza delle forze dell’ordine. Ma questa, secondo i residenti intervistati dal quotidiano statunitense, non è la soluzione: «Non abbiamo bisogno di più poliziotti», ha detto al Nyt un abitante di nome Antonio. «Abbiamo bisogno di più tempo a scuola, di più assistenti sociali e di più psicologi per aiutare i bambini che vivono in famiglie che non possono prendersi cura di loro». Le due ragazzine che hanno subìto le molestie, per esempio, provengono dal Rione Iacp, e prima di venir trasferite in una Casa famiglia vivevano assieme alle loro famiglie, che i vicini hanno definito «problematiche».


Un problema italiano?

Prima di Caivano, e prima anche di Palermo, si sono susseguite notizie su donne accoltellate, colpite da colpi di arma da fuoco o avvelenate, dai loro partner o da persone che conoscevano. Bisogna tuttavia considerare, specifica il Nyt, che la risonanza delle notizie sulla violenza sulle donne può essere stata influenzata dal rallentamento del ciclo delle notizie in estate, e dunque i fatti non sono necessariamente indicativi di una crescita del fenomeno. I numeri sembrano in linea con quelli degli altri Paesi europei: il 27% delle donne italiane afferma di aver subìto violenza. «Si tratta di un fenomeno culturale, profondamente radicato da decenni in una società maschilista», ha spiegato Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, la rete nazionale dei centri antiviolenza. «Ora sta prendendo una piega nuova, ancora più orribile, con i social media che agiscono come un megafono», ha aggiunto.

Il ruolo dei social

Nella vicenda di Palermo, per esempio, i social media non sono stati solo uno strumento per ferire gli aggressori (una volta diffuse le loro generalità), ma anche per accanirsi sulla vittima. Che è stata ricoperta di insulti e minacce, al punto di dichiarare:  «Sono stanca, mi state portando alla morte. Io stessa anche senza questi commenti non ce la faccio più. Non ho voglia di lottare né per me, né per gli altri. Non posso aiutare nessuno se sto così». E ancora: «Mi avete rotto con queste cose del tipo “ah ma fa i video su TikTok con delle canzoni oscene”, “è normale che poi le succede questo”, oppure “ma certo per come si veste”». Secondo un recente report dell’Istat, in Italia è ancora diffusa l’idea che le donne vittime di abusi siano in qualche modo colpevoli di aver provocato l’aggressione. Una visione che a detta del Nyt riecheggia anche nelle parole, che recentemente hanno fatto molto discutere, pronunciate da Andrea Giambruno, compagno della premier Giorgia Meloni e anchorman di Rete 4. Ovvero: «Se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi».

La legge

Dichiarazioni collegate da un filo rosso, sottile ma visibile, alla decisione del Tribunale di Firenze di assolvere due 19enni accusati di aver violentato una 18enne durante una festa, ritenendo che ci fosse stata una «percezione errata del consenso». E questo perché la ragazza aveva già avuto in passato rapporti con uno degli imputati. Non è la prima volta che le aule dei Tribunali italiani assumono un linguaggio offensivo nei confronti delle vittime di stupro, come denunciato dalla Corte Europea dei Diritti Umani. «Un simile trattamento scoraggia le donne dal farsi avanti», ha spiegato Ilaria Boiano, avvocato dell’associazione Differenza Donna. «Gli ultimi casi sono solo la punta dell’iceberg, purtroppo», ha affermato. «Molte donne non lo denunciano nemmeno».

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