Ki Group, cosa rischia Daniela Santanchè: le pene per la bancarotta e l’ipotesi dimissioni

Il nuovo fronte giudiziario. Il piano bocciato dalla procura. L’indagine per bancarotta e false comunicazioni sociali. E le sue conseguenze

Un nuovo fronte giudiziario per Daniela Santanchè. Con probabili nuove ripercussioni penali. E il suo posto nel governo Meloni torna in bilico. Dietro la richiesta di fallimento della procura di Milano per Ki Group si apre infatti una nuova voragine nei conti dei gruppi collegati alla ministra del Turismo sotto inchiesta. E lei, spiegano gli esperti, rischia una condanna: la bancarotta semplice prevede pene da 6 mesi a due anni, quella fraudolenta da tre a dieci anni. Per il reato sono infatti punibili tutti gli amministratori di una società (anche quelli non esecutivi). Così come i sindaci e i direttori generali. E, spiega il commercialista Gian Gaetano Bellavia, non le basterà dire «non sapevo» per cavarsela: «Il codice penale prevede che chi non impedisce un evento che ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. E quindi scatta la stessa pena».


Cosa succede

Non solo. Perché anche nel governo c’è chi attende di sapere come finirà la storia. Perché con un crac societario difficilmente la ministra potrebbe rimanere in carica come se niente fosse. Quando tornerà dall’assemblea dell’Onu Giorgia Meloni chiederà chiarimenti a Santanchè. Il Fatto Quotidiano infatti ricorda che la premier era stata informata della situazione di Ki Group nel novembre 2022. All’epoca era appena emersa la vicenda Visibilia. Ma il punto è l’informativa del 5 luglio scorso in Senato. Quando Santanchè rassicurò anche sul risanamento di Ki Group. Sostenendo di aver appreso le notizie sull’azienda dal management «non avendo più lei alcun ruolo operativo e societario». E intanto, aggiunge il quotidiano, dentro Fratelli d’Italia ufficialmente si dice di voler rispettare il principio della presunzione d’innocenza. Ma dall’altro si spera che sia la procura «a risolverci il problema».


Ki Group e Bioera

Il nuovo fronte giudiziario di Santanchè riguarda due aziende specializzate in cibo biologico che ora sono in cattive acque. La Procura ha depositato al Tribunale fallimentare un parere con cui ha chiesto di valutare l’inammissibilità del concordato semplificato presentato da Ki Group. In base al quale Bioera sarebbe dovuta intervenire con una copertura finanziaria di oltre 1 milione e 500 mila euro. Non solo: i pm hanno presentato separatamente istanza di «liquidazione giudiziale di gruppo». E quindi per le stesse società Ki Group srl, Ki Group Holding spa e Bioera Spa. Santanchè aveva proposto un piano di salvataggio per le due aziende. Che prevedeva di rilevare marchi e partecipazioni di Ki Group per 1,5 milioni di euro, così come un immobile del valore di 1,1 milioni sotto ipoteca che si trovava a Perugia. E, insieme, il soddisfacimento parziale, nella misura del 28%, dei crediti bancari garantiti all’80% dallo Stato, tramite il Medio Credito Centrale. 

Un piano da bocciare

Ma, sostiene la procura, il piano è da bocciare. è da bocciare. Essendo Bioera «in evidente stato di insolvenza non si vede come possa farsi carico del peso economico del piano proposto ed adempiere alle obbligazioni assunte, per le quali non vi è, infatti, alcuna concreta garanzia ma solo un atto di fede», scrivono i pubblici ministeri. I quali alla fine spiegano che il concordato semplificato non coprirebbe i debiti «in palese danno ed in frode ai creditori con conseguente pregiudizio». Aggravato, inoltre, dalla «mancata comunicazione agli organi della procedura di importanti informazioni». In merito sia alle «integrazioni richieste dal Tribunale» sia «alle reali condizioni attinenti lo stato di salute economico-finanziario della società Bioera spa».

L’indagine per bancarotta e false comunicazioni sociali

Nelle osservazioni – che riassumono in 10 pagine le relazioni della Gdf e di un esperto e che sono confluite nell’istanza di fallimento -, i pm sottolineano anche le gravi omissioni in danno dei creditori. Tra cui rientrano anche alcuni dipendenti che, come ha spiegato l’avvocato Davide Carbone, «in questi mesi, dopo le promesse fatte in aula dalla senatrice» non hanno ancora ricevuto il tfr. Quindi si analizzano i bilanci di Bioera, quotata all’Euronext Milan: ha debiti per quasi 900mila euro. In più, nel 2022 si evidenzia un «risultato netto in perdita per 5,3 milioni di euro». Mentre, sempre per il 2021-2022, la «società di revisione dichiara di non essere in grado di esprimere un giudizio». Perché non è riuscita ad acquisire elementi sufficienti. E quindi amministratori ed ex amministratori rischiano di finire sotto indagine per bancarotta e false comunicazioni sociali. Esattamente come con Visibilia. A questo scenario si aggiunge anche la presunta truffa sulla Cassa Integrazione a zero ore per l’emergenza Covid. Qui si aspetta a breve l’iscrizione dei primi nomi nel fascicolo degli indagati.

Una pena fino a 15 anni

Per questo, spiega Bellavia al Fatto, Santanchè e gli altri rischiano pene fino a 15 anni con eventuali aggravanti. «E anche se non fallissero, resterebbe il tema dei reati societari che per le società quotate non è cosa da poco: non se ne esce, perché quei bilanci fanno acqua da tutte le parti», aggiunge l’esperto di diritto penale dell’economia. «Le Fiamme Gialle hanno spiegato che la società che garantiva il piano era Bioera, quotata ma secondo la Gdf anch’essa in condizioni molto critiche. Dunque non poteva garantire nulla». Per Bellavia ora «la sola via d’uscita possibile è che qualcuno dica che ha fatto tutto lui ingannando tutti gli altri e che la responsabilità è solo sua. Ma deve anche dimostrarlo in modo inconfutabile dai magistrati, oppure commette autocalunnia».

Leggi anche: