Maltesi uccisa e fatta a pezzi, i giudici ammettono il killer ad un programma di giustizia riparativa. Il padre: «Allibito»

Davide Fontana si è detto pentito del suo gesto, ma per la famiglia e le associazioni contro la violenza sulle donne il percorso di riabilitazione potrebbe essere un modo per evitare il carcere

Il caso di Carol Maltesi ha suscitato profonda indignazione nell’opinione pubblica italiana, sia per le modalità del femminicidio, avvenuto a gennaio 2022, sia per la sentenza di primo grado che ne è seguita. Il suo assassino, l’insospettabile foodblogger Davide Fontana, uccise Carol con coltello e martello alla fine di un video hard registrato per Onlyfans e nascose il cadavere fatto a pezzi nel freezer. E’ stato però condannato in primo grado a 30 anni di carcere, invece dell’ergastolo richiesto dall’accusa, con una sentenza in cui si dice che Carol era «giovane e disinibita» e si negano futili motivi e premeditazione. Fontana, fin dalle fasi iniziali delle indagini ha chiesto scusa alla famiglia della vittima e la Corte d’Assise di Busto Arsizio ha ora deciso di ammettere Fontana a un «programma di giustizia riparativa», istituto introdotto con la riforma Cartabia.


La giustizia riparativa

Il programma non influisce sulla pena e non sostituisce la detenzione in carcere, ma ha comunque sollevato polemiche e indignazione da parte dei familiari della vittima e delle associazioni contro la violenza sulle donne. Il padre di Carol si è dichiarato «allibito» dalla notizia, mentre l’ex compagno di Carol ha affermato che non ci sarà mai alcun incontro tra loro e l’omicida. Fontana si è dichiarato pronto a lavorare su se stesso e affrontare un percorso psicologico per comprendere e riparare il danno causato alla vittima, alla sua famiglia e alla società, ma il procuratore Alberto Lafiandra si è opposto a questa decisione, ritenendo che il programma non sia utile nella fase attuale del processo. L’appello non è ancora stato fissato, e le motivazioni della sentenza di 30 anni in primo grado continuano a dividere.


Le associazioni contro la violenza sulle donne

Ad essere preoccupate per la decisione, che farebbe di Fontana il protagonista di un esperimento pilota, sono anche le associazioni contro la violenza sulle donne le quali temono che nella sostanza la giustizia riparativa rappresenti un modo per evitare il carcere. La presidente di un’associazione a Verona ha dichiarato che è difficile immaginare come la vittima, i familiari e le associazioni possano affrontare l’autore del femminicidio in questo contesto.

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