Il leader della Lega, da mesi, promette che il cantiere si aprirà durante la prossima estate
A Pontida, più di qualcuno ha protestato contro le abbastanza recenti attenzioni del Carroccio verso il Sud Italia e le sue infrastrutture. Lega delle origini contro Lega salviniana: tra i 15 mila militanti radunati sul pratone lo scorso 17 settembre, diversi hanno criticato la scelta del segretario di annoverare il Ponte sullo Stretto tra le battaglie identitarie del partito. Matteo Salvini, dal canto suo, non fa che rivendicarlo da mesi: il ponte si farà. E sempre pubblicamente ha scommesso sulla data di apertura dei cantieri: estate 2024. L’ultima volta che il segretario ha ripetuto il cronoprogramma è oggi, 27 settembre. Salvini, davanti alla platea del 67esimo congresso nazionale degli Ordini degli ingegneri, ha affermato: «L’obiettivo è aprire i cantieri, dopo 52 anni di parole, nell’estate dell’anno del Signore 2024. La chiusura dei cantieri è prevista nel 2032 e a Dio piacendo, perché ovviamente non è tutto fattore umano, il nostro obiettivo è che il primo treno, la prima auto, la prima moto attraversino il collegamento stabile Palermo, Roma, Milano, Berlino, Stoccolma entro il 2032. L’obiettivo che ci siamo dati è questo e io penso che per l’ingegneria e l’industria italiana sarà un’immagine nel mondo con pochi precedenti nella storia repubblicana».
Quasi in contemporanea, il capogruppo di un altro partito ha sollevato dei dubbi sulla linea temporale disegnata da Salvini. Non si tratta di un esponente dell’opposizione, ma di Tommaso Foti. Il deputato di Fratelli d’Italia, parlando della prossima legge di Bilancio, ha detto: «Il ponte in manovra è una spesa d’investimento e quindi penso possa essere una posta di bilancio che riguarda un programma pluriennale. Nel 2024 bisogna vedere, io dubito che – il prossimo anno – saremo già agli appalti». Fuori da Montecitorio, il presidente del gruppo meloniano alla Camera ha spiegato così il suo scetticismo sulla tabelle di marcia del leghista: «In genere i soldi servono per la progettazione e per gli appalti, ma servono più per gli appalti. Allo stato mi pare che non abbiamo un progetto esecutivo, poi io non mi occupo della progettazione. Prudenzialmente posso pensare che nel 2024 ci possa essere il progetto esecutivo» e, probabilmente, nessuna posa della prima pietra.
Secondo numerosi post social, il Regno Unito starebbe «rinunciando all’agenda della città dei 15 minuti del World Economic Forum (WEF)». Secondo la narrazione «50 mila persone si sono rifiutate di pagare le multe e le telecamere sono state distrutte». In realtà, il Regno Unito non sta rinunciando al progetto della città dei 15 minuti. I dati usati nei post si riferiscono a proteste contro misure che non hanno a che vedere con il concetto di città a 15 minuti
Per chi ha fretta:
Sostengono che il Regno Unito starebbe rinunciando al progetto della città dei 15 minuti del WEF. Si ritiene che sia una conseguenza di proteste, telecamere distrutte e multe non pagate.
Il concetto è stato discusso al WEF, ma non viene imposto a nessuno Stato.
I dati usati nel post si riferiscono ad altre misure, simili all’Area C di Milano.
Le multe non pagate erano state comminate a Birmingham, per aver oltrepassato con mezzi molto inquinanti l’ingresso della Zona Aria Pulita.
Le telecamere invece sono state distrutte a Londra, per protestare contro la Ultra Low Emission Zone.
Nessuna di queste proteste è nata per misure legate alla città dei 15 minuti.
Analisi
Tra i nuovi oggetti misteriosi presi di mira da chi diffonde informazioni riconducibili a teorie del complotto, c’è la cosiddetta città dei 15 minuti. Il concetto è semplice. All’interno di uno spazio urbano, ciascun abitante dovrebbe essere in grado di spostarsi verso tutti i servizi essenziali – lavoro, scuola, svago, negozi – in un quarto d’ora o meno. Un modello che molte città europee e mondiali considerano un obiettivo da raggiungere, per migliorare la vita dei propri abitanti e trasformarsi in realtà sostenibili. Il concetto viene abitualmente distorto nelle teorie del complotto, secondo le quali le città dei 15 minuti sarebbero una scusa che le amministrazioni intendono usare per confinare i cittadini in distretti, sorvegliati da telecamere, corrispondenti alla distanza che può essere coperta in 15 minuti a piedi. Ora, la saga continua.
Vediamo uno screenshot di uno dei post. Nella descrizione si legge:
«Nel Regno Unito, il governo è costretto a rinunciare all’agenda cittadina dei 15 minuti perché quasi tutte le telecamere ULEZ sono state distrutte e oltre 50.000 persone si rifiutano di pagare le multe»
«Ribellarsi paga. Se ci aveste seguito allorché a dicembre 2020 cominciammo le passeggiate di obbedienza costituzionale, insegnando a tutti come combattere quel sistema, oggi non saremmo in queste condizioni economiche, sociali e sanitarie. Vediamo se imparate a tirare fuori i coglioni, coglioni».
Mentre l’immagine mostra un tweet dell’utente “The White Rabbit Podcast”.
«Breaking: L’Inghilterra sta per rinunciare all’agenda della città dei 15 minuti del WEF dopo che quasi il 100% delle telecamere sono state distrutte e 50 mila persone si sono rifiutate di pagare le loro multe. Le telecamere non possono essere protette dato che i fondi alla polizia sono stati tagliati. I tribunali non possono perseguire così tante persone».
Appurato che nessun sistema di sorveglianza ha a che vedere con le città dei 15 minuti, all’interno delle quali non si fa divieto alcuno di spostarsi per distanze maggiori, vediamo perché il post è falso.
La città dei 15 minuti è nei piani del Regno Unito
Innanzitutto, al momento non sembrano esserci segni di rinuncia all’obbiettivo della città dei 15 minuti. Il Piano di Miglioramento Ambientale del Regno Unito continua a impegnare il governo a garantire che tutti vivano entro 15 minuti a piedi da «spazi verdi» come parchi e campi, o «spazi blu» come fiumi, stagni e altri corsi d’acqua. Le intenzioni per iscritto sono state confermate a voce dalla Anna Calder, portavoce del Dipartimento per l’ambiente, l’Alimentazione e gli Affari Rurali, che ha rilasciato il piano, ad Associated Press. Inoltre, il concetto di città in 15 minuti è «completamente estraneo» alle telecamere e alle multe a cui si fa riferimento nei post sui social media, ha affermato Carlos Ratti, professore di studi urbani al MIT e direttore del Senseable City Laboratory.
Le multe contestate a Birmingham
Le multe, che non hanno direttamente a che vedere con il concetto di città a 15 minuti, sono probabilmente quelle contestate con successo dagli abitanti di Birmingham, che le avevano ricevute per essere entrati all’interno della Zona Aria Pulita di Birmingham con un mezzo eccessivamente inquinante. Il numero di queste multe è, infatti, 50 mila, mentre i fatti risalgono a marzo 2023. Infine, delle città dei 15 minuti si è parlato nei Sustainable Development Impact Meetings del WEF. Ma il Forum non prevede a nessuno Stato l’imposizione di tale progetto.
Le telecamere distrutte a Londra
Le telecamere distrutte, invece, sono molto probabilmente quelle che alcuni cittadini londinesi hanno distrutto a centinaia per protestare contro la ULEZ. Si tratta della Ultra Low Emission Zone, area che comprende tutta l’area della Greater London, ben più grande del solo centro cittadino, dove vivono 9 milioni di persone. All’interno si può entrare solamente pagando un biglietto di 12,50 sterline se si prova farlo con mezzi eccessivamente inquinanti. La misura londinese di fatto non è la stessa cosa di una città a 15 minuti, ha fatto sapere ad AP il portavoce del supervisore del progetto nella capitale britannica Matt Winfield.
Conclusioni:
Secondo un post virale sui social, il Regno Unito starebbe rinunciando al progetto della città dei 15 minuti del WEF a causa di proteste, telecamere distrutte e multe non pagate. Il concetto è stato discusso al WEF, ma non viene imposto a nessuno Stato. i dati usati nel post si riferiscono a proteste contro misure che non hanno a che vedere con il concetto di città a 15 minuti. Le multe non pagate erano state comminate a Birmingham, per aver oltrepassato con mezzi molto inquinanti l’ingresso della Zona Aria Pulita. Le telecamere invece sono state distrutte a Londra, per protestare contro la Ultra Low Emission Zone. Nessuna di queste proteste, dunque, è nata per misure legate alla città dei 15 minuti, che continua a fare parte degli obiettivi di giustizia climatica del Regno Unito.
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