Mario Tozzi, il ponte sullo Stretto di Messina e lo spettro del Vajont: «Così unirà due cimiteri»

Il geologo in Giappone racconta la differenza con il ponte Akashi

Il geologo Mario Tozzi oggi parla su La Stampa del ponte sullo Stretto di Messina partendo da quello di Akashi in Giappone. Si tratta del secondo ponte sospeso per lunghezza al mondo dopo quello sui Dardanelli a Istanbul. Ed è stato progettato e realizzato per reggere a un terremoto di magnitudo 7,5 Richter. Mentre quello tra Sicilia e Calabria segue un progetto del 2016 che potrebbe resistere a una scossa di magnitudo 7,1. Ovvero quella assegnata a posteriori al terremoto del 1908 che provocò 100 mila morti. Ma, spiega Tozzi, il ponte era ancora in costruzione quando un terremoto a Kobe provocò 6 mila morti. Per il geologo si tratta di «infrastrutture perfette messe, però, in zone che non le possono ospitare senza rischi. Come da noi insegna il monito del Vajont a 60 anni dalla tragedia».


12 miliardi di soldi pubblici

E l’esperto spiega anche che un terremoto di quella virulenza tra Sicilia e Calabria provocherebbe comunque una strage nella zona, visto che le costruzioni non potrebbero reggere una scossa così forte. Il ponte sullo Stretto di Messina allora servirebbe solo a «unire due cimiteri». E quindi: «Ha senso investire denari pubblici (12 miliardi di euro, il ponte di Akashi ne costò circa 3) per costruire il ponte a campata unica più lungo del mondo, mettendo in piedi una sperimentazione avveniristica di progetto e materiali, invece di risistemare antisismicamente, prima, il territorio dello Stretto?». Tozzi spiega che le due torri del progetto sarebbero imposte a terra a Cannitello e a Ganzirri. Ovvero due zone delicate per gli ecosistemi, già protette a livello comunitario. Anche se il nuovo articolo 9 della Costituzione introduce proprio la tutela degli ecosistemi. I giapponesi dopo il terremoto hanno anche rinunciato a costruire la linea dell’Alta Velocità sul loro ponte.


L’Alta velocità sullo Stretto

Invece da noi il ponte l’avrà, l’Alta Velocità sullo Stretto. Per questo, secondo il geologo, «un’opera così impattante avrebbe bisogno di una discussione pubblica che fughi ogni perplessità, con precise assunzioni di responsabilità tecniche e scientifiche e con tutto un corredo di opere accessorie. Oggi er raggiungere Palermo da Messina ci vogliono quattro ore. Poi la conclusione: «Ritorno verso Kobe in auto e ora il ponte mi appare sotto una luce diversa e emerge il suo vero e unico significato». Ovvero «quello per cui spesso gli uomini costruiscono infrastrutture gigantesche la cui utilità è tutta da dimostrare ma i cui impatti pesano da subito: la sfida contro la natura, considerata inevitabilmente come impaccio a un senso del progresso che, da questo punto di vista, non convince e inquieta».

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