L’esercito d’Israele alle porte di Gaza. Ma Blinken domani a Tel Aviv chiederà «pause umanitarie». L’Ayatollah Khamenei: «Israele confusa, perderà»

Il segretario di Stato Usa atteso nuovamente in Israele per assicurare che la risposta dello Stato ebraico a Hamas sia «in linea col diritto internazionale umanitario»

L’esercito israeliano in questi giorni ha spinto sempre di più i residenti di Gaza City in una morsa, avvisando i residenti che la finestra di tempo per spostarsi si sarebbe chiusa presto. E ora il capo di Stato maggiore Herzi Halevil ha annunciato che le forze armate israeliane sono «nel cuore del nord della Striscia, dentro Gaza city, circondandola e approfondendo l’operazione». Un’operazione via mare e aerea condotta – ci tiene a precisare – «assieme a un’accurata intelligence» che potrebbe progredire anche su altri fronti. Ma ha fatto sapere che il rifornimento di carburante sarà consentito per l’utilizzo negli ospedali a Gaza: «Finora non abbiamo portato carburante. Controlliamo ogni giorno la situazione nella Striscia. Da più di una settimana ci dicono che il carburante negli ospedali finirà, e non è così. Il carburante verrà trasferito, con supervisione, agli ospedali e faremo di tutto per garantire che non serva agli obiettivi militari di Hamas».


La missione di Blinken e le nuove minacce iraniane

In questo quadro, è attesa per domani la nuova visita in Israele del segretario di Stato Usa Antony Blinken. Il “ministro degli Esteri” di Joe Biden poterà – solidarietà a parte – un messaggio ben preciso al gabinetto di guerra presieduto da Benjamin Netanyahu: la richiesta di consentire «pause umanitarie» nell’offensiva via terra e cielo a Gaza che da giorni miete vittime e rende la vita dei civili della Striscia al limite dell’impossibile. «Blinken ribadirà il sostegno degli Usa al diritto di Israele di difendersi contro il terrorismo in linea con il diritto internazionale umanitario, discuterà degli sforzi per salvaguardare i cittadini americani in Israele, Cisgiordania e a Gaza, del lavoro per assicurare l’immediato rilascio degli ostaggi, della necessità di aumentare la rapidità e il volume dell’assistenza umanitaria in ingresso a Gaza, e delle prevenzione dell’allargamento del conflitto», ha messo preventivamente in chiaro il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller. A provare a mettere il dito nella piaga delle distanze tra Washington e Tel Aviv è in serata la Guida Spirituale dell’Iran Ali Khamenei, che su X torna a minacciare Israele direttamente in ebraico: «L’entità sionista vi sta mentendo, e mente anche quando esprime preoccupazione per i suoi prigionieri insieme coi palestinesi. Invece distrugge pure loro con i suoi bombardamenti. L’entità occupante è ora impotente e confusa, e senza il sostegno americano sarà messa a tacere entro pochi giorni».


Riaperto il valico di Rafah: bimba italiana di 6 anni e sua madre lasciano Gaza

Una bambina italiana di sei anni e la mamma palestinese sono uscite da Gaza. Nella giornata di oggi – giovedì 2 novembre – hanno attraversato il valico di Rafah, tra la Striscia e l’Egitto, riaperto in mattinata per il secondo giorno consecutivo. Ora si trovano al Cairo e sono assistite dal personale dell’Ambasciata d’Italia per le operazioni di rientro. A renderlo noto è la Farnesina: «Sono particolarmente felice per l’esito positivo della vicenda di questa bambina, che proprio domani compirà sei anni, e della sua mamma», ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Voglio ringraziare tutto il personale coinvolto nell’operazione – aggiunge Tajani – dai funzionari delle sedi diplomatiche al Cairo, Tel Aviv e Gerusalemme, al nostro servizio di intelligence che, con il costante coordinamento dell’Unità di Crisi della Farnesina, ha ottenuto questo importante risultato».

Ieri, mercoledì 1 novembre, quattro italiani hanno lasciato la Striscia: Laura Canali di Human Rights Watch, Maya Papotti di Azione contro la fame, Giuditta Brattini dell’associazione Gazzella e Jacopo Intini di Cooperazione internazionale Sud Sud con la moglie palestinese Amal Khayal, capomissione, conosciuta tre anni fa proprio a Gaza. Intanto, proseguono le operazioni di deflusso dei cittadini stranieri dall’enclave palestinese, reso possibile grazie all’accordo tra funzionari israeliani ed egiziani. «Siamo impegnati ora – si legge nel comunicato – per favorire la fuoriuscita anche dei doppi cittadini italo-palestinesi e delle loro famiglie, che al momento si trovano ancora a Gaza in attesa di essere evacuati», spiega Tajani, sottolineando che «le operazioni sono complesse, e non riguardano solo l’Italia. Siamo al lavoro per mettere tutti in sicurezza».

L’evacuazione degli stranieri

Il varco di Rafah, la frontiera internazionale tra l’Egitto e la striscia di Gaza, è aperto – scrive Ansa che cita fonti locali – per favore la fuoriuscita degli stranieri, di quelli con doppia nazionalità e dei feriti. L’Egitto ha fatto sapere inoltre che «aiuterà a evacuare circa 7 mila persone con doppia nazionalità» dall’enclave palestinese. «Il Paese si sta preparando a facilitare l’accoglienza e l’evacuazione dei cittadini stranieri da Gaza attraverso il valico», ha detto il viceministro degli Esteri egiziano, Ismail Khairat. Intanto, il ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, ha spiegato che «il generatore di energia del principale ospedale della Striscia settentrionale è fuori servizio». Per questo motivo, la struttura sanitaria «sta funzionando con un piccolo generatore di riserva, ma sono state spente le luci, i generatori di ossigeno, anche frigoriferi della camera mortuaria non funzionano», ha specificato il portavoce del ministero Ashraf Al-Qudra. È salito, nel frattempo, a 242 il numero degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas: lo ha reso noto il portavoce dell’Idf Daniel Hagari.

Il campo di Jabalia

Il portavoce militare dell’esercito israeliano ha fatto sapere che i militari stanno continuando «a colpire terroristi e distruggere infrastrutture del terrore» nella Striscia di Gaza. Ha aggiunto che nella notte «i soldati si sono scontrati con numerose cellule terroristiche nel nord della Striscia di Gaza uccidendo decine di terroristi». E che hanno affrontato le milizie di Hamas con «l’assistenza del fuoco dell’artiglieria e dei tank guidando al tempo stesso un attacco aereo con un elicottero e un missile lanciato da una nave». Ieri, dopo che Israele ha preso di mira il più grande campo profughi di Gaza con nuovi attacchi aerei, i funzionari delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno lanciato un monito: prendere di mira aree residenziali densamente popolate «potrebbe equivalere a crimini di guerra». Il campo di Jabalia è stato colpito dalle bombe per la seconda volta in due giorni. Secondo un ufficio stampa governativo gestito da Hamas, i due attacchi avrebbero provocato la morte di almeno 195 palestinesi. Circa 120 persone risultano ancora disperse sotto le macerie e almeno altri 777 sono rimasti feriti, ha riferito l’ufficio in una nota.

Uccise «intere famiglie»

Israele ha affermato che gli aerei avrebbero preso di mira «un complesso di comando e controllo di Hamas», riuscendo a «eliminare» un numero indefinito di militanti. Le forze di difesa israeliane (Idf) hanno affermato di aver preso di mira e ucciso ieri Muhammad A’sar, il comandante della flotta di missili guidati anticarro di Hamas, mentre martedì l’obiettivo era uccidere Ibrahim Biari, un comandante chiave di Hamas che avrebbe preso il controllo di edifici civili a Gaza City. Secondo i soccorritori, sono state uccise «intere famiglie». Dal 7 ottobre, giorno dell’attacco senza precedenti di Hamas uccidendo 1.400 persone, Israele ha colpito più di 11.000 obiettivi a Gaza. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, finora sono stati uccisi 8.796 abitanti di Gaza, soprattutto donne e bambini. Interi quartieri di Gaza sono stati rasi al suolo.

«Tragedia senza precedenti»

Il Commissario generale dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) Philippe Lazzarini, dopo aver visitato la Striscia, ha affermato che siamo davanti a una tragedia «senza precedenti». E che il giorno della visita è stato «uno dei più tristi» del suo lavoro umanitario. Dopo aver visitato gli sfollati rifugiati in una delle scuole dell’agenzia a Rafah ha dichiarato: «Il posto era sovraffollato. Le condizioni di vita e sanitarie erano oltre ogni comprensione. Tutti chiedevano solo acqua e cibo. Invece di essere a scuola a imparare, i bambini chiedono solo un sorso d’acqua e un pezzo di pane. È stato straziante. Soprattutto, la gente chiede un cessate il fuoco. Vogliono che questa tragedia finisca». «I nostri appelli cadono nel vuoto. Un cessate il fuoco umanitario è atteso da tempo. Senza questo, altre persone verranno uccise, i vivi subiranno ulteriori perdite e la società, un tempo vivace, sarà in lutto per sempre» ha aggiunto, rilanciando l’appello alla fornitura di carburante per ospedali, panifici e impianti idrici, e ricordando che oltre 70 persone dello staff dell’Unrwa sono rimaste uccise dal 7 ottobre.

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