Suicidio assistito, morta in Svizzera la professoressa universitaria Margherita Botto: domani l’autodenuncia del fratello e di Cappato

È la seconda volta che un familiare di una persona decide di autodenunciarsi assumendosi il rischio di conseguenze penali. L’altro caso è stato quello del figlio di Sibilla Barbieri

Una professoressa universitaria di 74 anni, Margherita Botto, è morta questa mattina – martedì 28 novembre – in Svizzera, dopo aver avuto accesso al suicidio mediamente assistito. Botto, docente universitaria di lingua e letteratura francese e stimata traduttrice letteraria, era affetta – si legge nel comunicato dell’Associazione Luca Coscioni – da adenocarcinoma al terzo stadio e «aveva espresso consapevolmente di porre fine alla sua vita in modo dignitoso, senza ulteriori sofferenze fisiche e psicologiche», si legge nella lettera indirizzata all’organizzazione svizzera. «Le mie speranze di giungere alla guarigione e di poter ritornare ad una qualità della vita non dico soddisfacente, ma almeno accettabile – scrive Botto -, sono molto ridotte o nulle. Il proseguimento del protocollo di cura mi esporrebbe a ulteriori sofferenze per almeno un anno o più, senza molte probabilità di successo. In questa situazione intendo liberamente ed autonomamente porre fine al protocollo di cure, affrontandone consapevolmente le infauste conseguenze».


L’autodenuncia del familiare

Il fratello Paolo Botto, insieme a Cinzia Fornero, iscritta all’associazione Soccorso Civile, della quale è presidente e responsabile legale Marco Cappato, hanno accompagnato Botto presso la clinica svizzera. Domani, 29 novembre, i tre – assistiti dalla legale Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni – si autodenunceranno presso la stazione dei carabinieri di Via Fosse Ardeatine a Milano. La pena prevista per l’aiuto al suicidio è da 5 a 12 anni di carcere. È la seconda volta che un famigliare decide di autodenunciarsi assumendosi, così, il rischio di conseguenze penali. L’ultimo caso risale al 6 novembre scorso, quando il figlio della registra e attrice Sibilla Barbieri, regista, malata oncologica terminale, si è presentato nella caserma dei carabinieri di Vittorio Veneto a Roma per autodenunciarsi per aver facilitato il suicidio assistito della madre.


La procura di Milano in passato ha già chiesto l’archiviazione dell’accusa di aiuto al suicidio per Marco Cappato sui casi di altre due persone accompagnate in Svizzera: Elena Altamira, 69enne malata terminale di cancro e Romano, 82 anni, ex giornalista e pubblicitario, relegato in un letto da una forma grave di Parkinson. Il giudice per le indagini preliminari dovrà decidere se archiviare, disporre nuove indagini o l’imputazione coatta per Cappato. Dopo la vicenda di Dj Fabo, passata per un processo a Milano e una decisione della Consulta, il suicidio assistito in Italia è legale «quando il malato che ne fa richiesta è affetto da patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Inoltre, deve essere anche tenuto in vita artificialmente da trattamenti di sostegno vitale. 

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