L’ex Bce Bini Smaghi: «Meglio non firmare il Patto di Stabilità prima delle elezioni»

Il banchere: si rischia di fare un favore ai sovranisti

«Se non si riesce a trovare un accordo dopo un anno di negoziato, quella base non è la migliore. Sicuramente non per l’Italia». Lorenzo Bini Smaghi, ex componente italiano del board della Banca Centrale Europea e presidente di Société Générale, è molto netto sul Patto di Stabilità e Crescita. E sostiene che sia meglio rinviare il voto a dopo le elezioni europee. Perché i mercati non temono lo stallo. E perché conta di più semmai cosa deciderà la Bce ad aprile sui tassi d’interesse. Poi critica anche il merito dell’accordo sul tavolo: «Sarebbe stato meglio cercare di migliorare le regole piuttosto che cambiare totalmente l’impostazione. Si è ancora in tempo per tornare indietro. Puntare tutto sul debito e sul rafforzamento del ruolo della Commissione è delicato», dice in un’intervista a La Stampa.


L’accordo e i disaccordi

Perché, ragiona il banchiere nel colloquio con Gabriele De Stefani, «per i paesi ad alto debito uno schema di questo tipo non cambierebbe molto, perché il vincolo sul debito prevarrebbe comunque, soprattutto nella proposta di riforma avanzata dalla Commissione europea». Secondo questo ragionamento, però, l’Italia sbaglia bersaglio visto che si lamenta esattamente di questo: «È una proposta che tocca solo un punto e che rischia di favorire i Paesi a basso debito». Ma su un punto è chiarissimo: «Sicuramente è meglio il vecchio Patto piuttosto che delle regole pasticciate e di difficile applicazione. L’aspetto più incredibile del negoziato attuale è che non si basa su indicazioni chiare sull’aggiustamento di finanza pubblica che i vari Paesi dovrebbero garantire nei prossimi anni. Perché a decidere, almeno inizialmente, sarebbe la Commissione europea. E per di più la nuova Commissione, che si insedierà solo tra sei mesi».


I sovranisti

Ma c’è anche un punto politico che Bini Smaghi solleva: «Il rischio maggiore per l’Italia è approvare un accordo senza capirne fino in fondo le conseguenze sulla propria politica di bilancio per i prossimi anni. Ciò alimenterebbe reazioni sovraniste, soprattutto in vista delle prossime elezioni europee. Il vero rischio è una ripetizione del caso Mes, per cui il governo dà il suo via libera a Bruxelles ma poi il Parlamento non ratifica o si dissocia». Infine, sulla possibilità che l’Italia blocchi tutto dice: «Un veto italiano è credibile, ad alcune condizioni. Deve essere ben spiegato e coerente con gli interessi del Paese, senza creare danni ad altri. Porre il veto ad una riforma fatta male non danneggia nessuno. Certo è sempre meglio crearsi delle alleanze».

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