Le accuse di Report a Zan e Di Biase (Pd) sulle società che guadagnano dal Pride e sulle certificazioni per la parità – I video

La replica del deputato: lavoro a titolo gratuito. La moglie di Franceschini: mai interlocuzioni con politici

I deputati del Partito Democratico Alessandro Zan e Michela Di Biase nel mirino di Report. Entrambi hanno fondato delle società su temi di interesse per la propria attività politica: la Be Proud srl organizza a Padova il festival Lgbt per la promozione dei diritti. La Obiettivo 5 è invece una società di consulenza per la certificazione della parità di genere. La Be Proud ha incassato più di un milione e trecentomila euro per il festival. Zan ne è amministratore unico e socio di maggioranza. Il deputato ha risposto così alle domande di Lorenzo Vendemiale sulla società: «No, non è un evento commerciale. È un evento in cui tutto quello che viene guadagnato viene riversato nell’iniziativa. Un conflitto d’interesse? No, io ho prestato il mio nome per dare una mano ma lo faccio per spirito di servizio a titolo gratuito».


I servizi e le repliche

Ieri, dopo la pubblicazione del servizio, Zan ha parlato di nuovo su Twitter: «Mi sono sempre messo a disposizione come volontario e a titolo gratuito, come confermano le mie dichiarazioni obbligatorie annuali alla Camera dei Deputati. La società serve esclusivamente a organizzare la manifestazione, i cui incassi vengono ogni anno utilizzati per consentire la realizzazione e la sostenibilità della manifestazione stessa. Ringrazio ancora Report per avermi dato l’occasione di spiegare in modo esaustivo». Gli incassi derivano per 700 mila euro da corrispettivi ingresso e per 450 mila dal bar. Di Biase, moglie dell’ex ministro Franceschini, è socia al 25% della società.


La certificazione di parità

Le manager dicono alla trasmissione che «Michela ha avuto l’idea perché sapeva che sarebbe nata la certificazione di parità. Siamo stati sicuramente i primi a farla: la società nasce ad aprile, la legge è stata approvata a novembre». Di Biase ha detto che «né personalmente né a nome di Obiettivo 5 ho mai avuto interlocuzioni con politici finalizzate all’approvazione della certificazione di parità nel codice dei contratti. Inoltre non ero in Parlamento quando è stata approvata la legge».

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