Andrea Crepaldi, le avventure del pugile italiano finito in un carcere Usa di massima sicurezza

Gli stratagemmi per entrare negli Usa, il carcere, i tumori, il ritorno in Italia: la storia del boxeur raccontata in un libro auto-pubblicato

Il boxeur Andrea Crepaldi ha lasciato Varese nel 2008 per gli Stati Uniti. All’epoca era un dilettante con molti incontri alle spalle. E veniva giudicato come «un buon pugile per i canoni italiani ma non per quelli internazionali». Oggi racconta in un’intervista al Corriere di Milano cosa ha fatto per salire sul ring negli Usa: «Mi sono sposato due volte, e non nascondo l’obiettivo: ottenere la Green card, il documento che permette di vivere e lavorare negli States. Ho avuto una moglie e ho, ancora, un marito. Con Emily ci siamo sposati dopo averla conosciuta una settimana prima. Mi era scaduto il visto sportivo. Mi ha lasciato poche settimane dopo le nozze per trasferirsi in Nicaragua».


I soldi

Crepaldi dice che alla fine «per sistemare le pratiche di immigrazione, mi ha chiesto diecimila dollari. Meglio il divorzio. Poi, appena lo Stato diNew York ha reso possibili le nozze gay, mi sono sposato con Michael, un pugile come me. Aveva problemi economici, trovammo un accordo. Volevo restare negli Usa per diventare un campione». Ma questo non è accaduto: «In carriera ho disputato 73 incontri, da professionista solo uno a New York e l’ho perso. Non ero in forma, da poco ero uscito dal carcere federale di massima sicurezza di Clinton County. Avevo cercato di entrare negli Usa illegalmente». Alla fine ha lasciato la Grande Mela nel 2015: «Doloroso il rientro in Italia, difficile trovare un lavoro. Ho ripreso la carriera di pugile a Londra con un nuovo allenatore, ma ecco la mazzata: bloccato dal British Boxing Board of Control, l’ente che supervisiona la salute dei pugili. Da una tac risultarono due tumori alla testa. Mi cadde il mondo addosso».


Due tumori e due cisti

Alla fine i due tumori erano due cisti, ma la sua carriera è finita. Allora ha cercato di tornare negli Usa: «Avevo studiato un piano che almeno sulla carta sembrava perfetto: un amico mi avrebbe condotto in auto in prossimità del confine che avrei attraversato correndo per 25 km. Sono atterrato a Montreal alla fine di novembre 2016. Secondo le immagini viste su Google, il terreno doveva essere innevato: mi sono vestito di bianco». Ma la neve non c’era: «Purtroppo mi sono ritrovato otto Border Patrol con i fucili e le pistole spianate. Sono restato in cella per quattro giorni». In tutto è restato in carcere per tre mesi prima di pagare la cauzione da 10 mila euro: «Ho lavorato illegalmente nei ristoranti». Il divieto di rientrare negli Usa scade nel 2025: «Ora vorrei tornare per divorziare da mio marito». Da tutta questa storia Crepaldi ha tratto un libro: Diventerò un campione.

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