Eva Robin’s e la fama di ermafrodito: «Era tutto inventato. Il gender? Mi sento più solida che fluida»

L’attrice racconta la transizione, la carriera, gli amori

L’attrice Eva Robin’s sarà all’Arena del Sole di Bologna con “Le Serve” di Jean Genet. Lei, che diventò famosa come ermafrodito, dice oggi che quella era «una notiziona inventata per vendere più giornali e rendere meno crudo un argomento raro negli anni ’80: la transizione fra i sessi». Oggi, in tempi di genderless, dice di sentirsi «più solida che fluida». E dice che ha sempre parlato del suo pene in modo disinvolto: ci tengo a ricordare che, sotto l’apparenza femminile, c’è». All’anagrafe si chiama Roberto Coatti e oggi che ha 65 anni fa con il Corriere della Sera un bilancio della sua vita e della sua carriera. A partire dal primo amore in collegio: «Maschile, ovviamente. La notte, tendevamo il braccio nel vuoto da un letto all’altro. Conservo la foto di gruppo di un saggio, tutti vestiti da tarantella, dove mi si identifica subito nel bimbetto che fa un gioco di mani incrociate che un maschietto non avrebbe mai fatto».


La transizione

La transizione, dice a Candida Morvillo, la avviò «per errore. Non avevo la vocazione di essere donna. Amavo i travestimenti, tutti. Amavo essere qualcun altro. È la storia di tutte noi, di un ciclo di esperienze che può portare da una parte o da un’altra: la storia dei vestiti della mamma, delle bambole sul letto». Gli ormoni glieli dava «un infermiere vicino di casa, io volevo solo somigliare a Tadzio di Morte a Venezia, a Björn Andrésen. Ero una ragazzina cinefila: mamma, che si guadagnava la pagnotta giocando a carte, non sapendo dove mettermi, mi mandava sempre al cinema». E quindi a 15 anni «mi sono trovata a essere chiamata signorina, ad apparire donna e mi accorsi che ero attratta più dagli uomini. Delle donne mi piacevano solo i vestiti e il fatto che non pagassero loro al ristorante». La sua prima volta, dice, è stata un approccio precoce: «Io undici anni lui forse 50 o 40. Era un archeologo. Oggi lo definisco pedofilo, allora, non lo vissi come un trauma».


Le storie più belle

Le storie più belle le ha avute con le donne: «In loro, ho sempre trovato più sfaccettature in cui identificarmi, cullarmi, essere trattata come figlio, amante giocoso, amico, mentre gli uomini sono stati più monocordi. Ho avuto ustioni sentimentali più con gli uomini». Perché guardavano le altre donne e si vergognavano di lei. In tutto di compagne ne ha avute ««Tre. L’attuale resiste da quasi trent’anni. Una è morta, una è felicemente sposata con un’altra donna, perché grazie al mio passaggio si è liberata dai tabù, veniva dall’eterosessualità, stava con me, ogni tanto, aveva rapporti col mondo maschile». Due sue compagne volevano sposarla. Lei poteva, perché all’anagrafe era registrata come uomo. Ma, dice, non ha voluto creare un caso mediatico.

L’amante politico e Paolo Villaggio

Dice di aver avuto un politico per amante, ma non vuole rivelarne il nome. Parla però di Paolo Villaggio: «Ma lui era carino, un grande intellettuale, non si offese. Avemmo una notte in Sardegna, dove a una sua festa c’erano da Bianca Jagger agli industriali più in vista e io feci uno spogliarello che mi trasformò nella personalità più invitata sulle barche quell’estate. Lì conquistai la moglie di un armatore tedesco miliardario che mi portò a Parigi e nei posti più mondani. Avevo vent’anni, venivo dalla provincia, cominciava la mia vita incredibile. Andavo in giro con Grace Jones. Ci sono foto dove ci facciamo linguina. Mi seguì nei primi concerti che facevo. Mi rubò due fidanzati. Uno glielo portai io e glielo lasciai molto volentieri. Uno me lo sgraffignò lei con maestria, ma sono generosa, non me ne feci un problema».

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